
«Ma non è una cosa normale! Eccone un’altra che entra adesso, bella bella dopo la proiezione, ma le sembra normale?». Sollevo la testa, ma dicono a me, dicono proprio a me? No, non sto citando Taxi driver, sono solo stupita. La signora in tailleur e caschetto corvino, mi ricorda vagamente un personaggio de Gli incredibili, non ho il tempo di capire esattamente quale. Sono arrivata in platea direttamente per l’incontro con Helen Mirren al Teatro Petruzzelli, sì, certo, dopo la proiezione perché il film di Virzì lo conosco e la stampa è stata informata del cambio di orario voluto dall’attrice: la sua masterclass il 29 settembre è stata posticipata alle 11.00, avrebbe dovuto svolgersi alle 9.00. «E mi risponda!» insiste caschetto corvino sempre più indignata, vuole farsi sentire, anche se non so bene da chi, perché né io, né gli altri spettatori avremmo il potere di darle soddisfazione. Così, un po’ novella Furio (e che ci posso fare, la situazione mi ricorda uno degli intramontabili sketch di Carlo Verdone, quello che fa «Ce l’ho il porto d’armi, chi t’ha detto che non ce l’ho, eccolo…» e devo cercare di restare seria) sono costretta a mostrarle il mio pass di giornalista. Ma la signora non si placa. «Lei mi deve spiegare perché noi abbiamo dovuto prenotare su Vivaticket seguendo le indicazioni, regalando un euro e cinquanta, con la certezza che la Mirren avrebbe tenuto la masterclass alle 9.00 e che poi non si poteva uscire in nessun modo dal Teatro perché poi avrebbero proiettato il film e una volta dentro sul programma c’è scritto che non si può più uscire… e adesso, guardi! Guardi! C’è molta più gente ora che alla proiezione, stanno entrando adesso! Queste cose non le sanno gestire!».
Non so cosa dire. Così non rispondo e ascolto.
Nel frattempo, David Grieco cerca di costruire un rapporto empatico con il pubblico, alcuni si stanno alzando per andare via. «Siate pazienti, restate, vi avviso già adesso che potrebbe volerci qualche minuto prima che Helen Mirren sia qui» e subito pronto un signore risponde dalla platea «Ma aspettare è una cosa bellissima, che problema c’è?». Ecco, penso. Questo è il pubblico del Bif&st che ricordavo, il pubblico generoso, democratico, curioso, e soprattutto attento e ospitale, in tutti i sensi.
«Ma io ora me ne vado, ma guarda tu se devo pure aspettare» ribatte invece tra i denti caschetto corvino cercando il sostegno delle amiche che sono con lei e fissandomi con stizza, come se fossi la complice di chissà quale misfatto o complotto.
E Dame Helen Mirren arriva, non aspettiamo nemmeno poi tanto. Sciarpa rossa, completo bianco. La accompagna Paolo Virzì, sulle prime quasi un po’ intimidito, poi sciolto e pronto a gestire l’incontro con la grande attrice che però conosce bene e che oramai risiede in Puglia: lei, duettando con Donald Sutherland in Ella e John, ha costruito il personaggio intenso della donna americana del sud malata e morente che tocca profondamente il pubblico.
«Io resto qui per condurre, ma la intervisti tu, Paolo» dice Grieco a Virzì restando in piedi, un po’ come Corrado [Mantoni], incoraggiando l’applauso per l’attrice prima di sedersi. È un applauso pieno, ma il suono non può essere quello a cui eravamo abituati, scrosciante e travolgente: gli spalti sono vuoti, c’è ancora il distanziamento, non è il Petruzzelli che salutò Costa-Gavras, Moretti o Morricone nelle passate edizioni. È l’Era del Covid-19.
Il terzetto funziona, non ci sono momenti di vuoto: il conduttore propone a Mirren, lei che è stata una delle maggiori attrici del Free cinema, il ricordo di professioniste che abbiamo perso in questi mesi, una fra tutte Clare Peploe (regista de Il trionfo dell’amore e Miss Magic, oltre che moglie di Bernardo Bertolucci). E Mirren rilancia: «Ho chiesto ad alcuni uomini: ma come ti sentiresti sul posto di lavoro se tutte le mattine, fino alla fine della tua vita, trovassi solo donne e tu fossi uno dei pochissimi, se non l’unico uomo? Non ci pensano, i maschi, non ci fanno proprio caso a questo. Però trovo elettrizzante la rivoluzione di genere e antirazzista di questi anni» poi si rivolge a Virzì e i due raccontano la loro esperienza sul set americano di Ella e John con grande complicità. «Non so se rifarei un film lì – ammetterà poi il regista – hanno regole sindacali che noi nemmeno conosciamo, alcune molto giuste, perché proteggono i lavoratori, altre non le possiamo capire, almeno per come intendo io il cinema. Infatti, con gli attori, spesso fuggivamo pur di finire una scena senza interruzioni».

Mirren, riguardo al suo metodo attorale spiega poi che, come si dice, non è un’attrice che si porta il personaggio a casa. «Certo, alcuni attori, anche Donald, lavorano così: sono sempre nella parte. Lo fa anche Gary Oldman ed è un metodo che ritengo abbia ragione di esistere e sia interessante. Kate Winslet ha il mio stesso approccio, io voglio avere una vita, voglio vivere la mia vita tra un ciak e l’altro» spiega Mirren che è trascinante, la traduttrice però riesce a starle dietro egregiamente. «Penso si possa comunque ottenere un ottimo risultato, certo, bisogna essere molto concentrati dopo il ciak, per essere dentro quello che si fa, ma si può anche uscire dal personaggio quando non si è sul set. Del resto, non si recita per il trailer [cioè il camper, la roulotte, il caravan dove gli attori vengono preparati], ma si recita per la macchina da presa» la battuta diverte molto Virzì, ci giocano: trailer, per gli spettatori, di solito è il video di lancio di un film. “Non si recita per il trailer” è un’ottima battuta se si dà a trailer il doppio significato. E su quanto le parole, in alcune lingue, possano avere più significati tornerà anche Gianni Amelio nel pomeriggio, quando al Teatro Margherita chiederà al critico Jean Gili se non sarebbe stato meglio tradurre L’Étranger di Camus con l’estraneo invece che con lo straniero (perché in francese, étranger possiede entrambi i significati).

Virzì sottolinea che Donald Sutherland si è trasformato completamente nel suo personaggio: con gli abiti, la voce, perfino pretendendo di guidare sempre il camper che diventa teatro della storia d’amore con Ella, una storia che, in fondo, «è un Kammerspiel» aggiungerà Virzì.
«Parliamo del tuo rapporto con la televisione. C’è una serie che in particolare ha cambiato, rivoluzionato tutto, più di Twin Peaks, mi riferisco a Prime Suspect di Roger Mitchell che è morto pochi giorni fa e non ce ne siamo nemmeno accorti» chiede ad un certo punto il conduttore e Mirren risponde «Sì, la televisione mi ha insegnato che è importante avere un rapporto con tutti i professionisti che collaborano sul set. All’inizio mi chiedevo “Chi sono tutte queste persone?”. Poi ho imparato a costruire rapporti con tutti, con l’operatore del dolly, per esempio, perché tutti sul set sono fondamentali. In particolare, credo che il più importante di tutti sia il fuochista». E Mirren, svela Virzì, ha accettato di essere la protagonista di Ella e John proprio perché affascinata e affezionata alle troupe italiane. Poi Helen Mirren solleva lo sguardo e interrompe il gioco «Scusate – dice – io sono tanto rivoluzionaria e ribelle, ma devo andare, mio marito mi aspetta» e prima di lasciarla andare, arriva la domanda del secolo. «Helen, ti prego. Da uomo ti chiedo, a proposito di tutto quello che abbiamo detto rispetto alle donne, che io spero proprio conquistino tutti gli spazi che desiderano, ma… noi uomini, che cosa possiamo fare?».

Helen Mirren ci pensa su, poi suggerisce «Non date mai niente per scontato». Raggiunge il marito, il regista Taylor Edwin Hackford che, purtroppo, non è stato con lei sul palco per questa masterclass come invece speravamo e come alcuni colleghi già avevano anticipato nei loro pezzi. Edwin Hackford resta una presenza discreta e sembra proprio che Mirren sia stata la vera regista dell’incontro.
Rimangono Virzì e Grieco a raccogliere le domande commosse, proprio con tanto di lacrime e di nodo in gola, del pubblico: c’è una signora a cui si spezza la voce pensando alla scena finale di Ella e John. E Virzì chiude con il ricordo commosso di Ettore Scola dopo avere dispensato, generoso, aneddoti e segreti del suo rapporto con gli attori. «Ettore mi ha insegnato ad essere gentile, era l’ultimo a sedersi sul set, prima di tutto controllava che fossero comodi gli altri, spesso restava in piedi. Niente a che fare con l’immagine del regista che vola sul dolly con la sciarpa».