50 anni di sogni: il pittore barese Antonio Squicciarini in mostra al Seoul Arts Center a dicembre 2020

«La pittura è stata tutto per me» si racconta così Antonio Squicciarini, in una frase la commozione e l’entusiasmo per un traguardo artistico importante: 50 anni di sogni è il titolo della mostra che gli dedicherà il più importante Museo della Corea del sud, il Seoul Arts Center Hangaram Art Museum di Seoul, dal 12 al 20 dicembre 2020. «Non è la prima volta a Seoul per me, – racconta Squicciarini – nel 2018 le mie opere sono state esposte qui, dal 2020 mi verrà anche dedicato uno spazio permanente, una exhibition room che si chiamerà proprio Gallery Antonio. È una emozione indescrivibile e di cui sono profondamente orgoglioso: sono il primo artista italiano a ricevere questo riconoscimento. Però questa gioia è anche amara se penso alle mie origini: la mia città, Bari, non ha avuto questa considerazione per me, eppure tutto è cominciato in Puglia».

L’immaginario di Antonio Squicciarini è un immaginario pieno: di colori, di personaggi e di amori, di sogni, di visioni, di maschere – non a caso è stato l’assistente costumista di Danilo Donati per il film Ginger e Fred di Federico Fellini –.

«Fin da bambino dipingevo tutto ciò che non riuscivo a dire. Nel collegio di Cassano Murge (Ba) dove ho passato tutta la mia infanzia scoprii il mio talento artistico: divoravo fogli da disegno, avevo bisogno di esternare il mio bisogno di amore. Non avendo visto la mia famiglia per anni le mie preghiere erano dettate dalla mia anima di bambino inquieto e tormentato. Cominciai a raccontare con i colori tutto ciò che mi attraeva e mi dava un senso di pace e libertà: il mio talento riuscì a riscattare tutto quel vuoto che avevo dentro e cominciai ad andare oltre. Cominciai a rappresentare i contenuti dei miei dipinti su carta con poesia». Se gli si chiede i suoi primi incontri con il pubblico, Squicciarini ricorda teneramente suo padre e il fuoco ardente di un gesto di ribellione giovanile: «Avevo tredici anni e mio padre organizzò una mostra al Circolo della Vela e poi allo Sporting Club (i locali dell’attuale Teatro Margherita). Da giovanissimo mi spostai a Milano, poi a Roma e a Parigi. Questo perché Bari in quegli anni non era interessata ai giovani artisti, li considerava provinciali. Cercai un gesto eclatante per attirare l’attenzione della città sulla condizione dei giovani artisti baresi che erano ignorati ed emarginati dagli addetti ai lavori, interessati invece solo ai grandi pittori del panorama italiano e straniero e nel 1984 bruciai cinquantasei mie tele sul muretto del Castello Svevo. La gente si ammassò per ascoltarmi mentre esponevo le mie ragioni e dovetti subire le conseguenze del mio gesto di ribellione. La stampa locale di allora nemmeno passò la notizia e nessun altro giovane artista si unì a me, evidentemente accettando la propria condizione di artista per hobby, ma diventai famoso fuori città: fui ospite di Maurizio Costanzo, ricevetti molte lettere di solidarietà. Mio padre non poteva aiutarmi, così decisi di sfruttare questo mio dono e cominciai a lavorare in giro per i quartieri di Milano per mantenermi agli studi all’Accademia di Brera, proponendomi come ritrattista nei locali e nei posti più difficili della città. Riuscii a guadagnare tanto da poter mandare del denaro anche alla mia famiglia. D’estate poi andavo a Rimini, lavoravo nei lidi fino a Riccione. Sotto l’ombrellone famiglie intere si sono fatte ritrarre da me. Sono andato via da Bari e ho lavorato per strada. Milano mi ha adottato e mi ha amato. Ad esempio, ricordo che la Libreria Cortina comprava ed esponeva le mie tele. Bari è una città di cultura, ricca di giovani creativi che però è necessario incoraggiare, bisogna aiutarli a raggiungere la propria felicità, a far comprendere loro l’importanza del dialogo. A Bari ci sono grandi possibilità ma mancano politiche adeguate».

Ancora, sempre, la sua città è per Squicciarini insieme ferita aperta e segno d’amore: ci si chiede infatti perché debba sempre valere il triste motto nemo propheta in patria sua, epitafio e stereotipo di un Paese provinciale e piccolo borghese, che non sa riconoscere il talento, troppo spesso distratto da altre logiche, varie quanto imperscrutabili.

Eppure, Squicciarini è un orgoglio tutto italiano: a soli 19 anni partecipa alla collettiva I maestri del colore a Zurigo, è la sua prima esperienza internazionale. Poi nel 1978 le suo opere arrivano a Francoforte, a Cannes nel 1979 e ancora a Palma di Majorca, Heeswijk, Amsterdam, Pittsburg, New York. Quando incontra Bruno Cassinari, che per tre anni sarà il suo maestro, si avvicina alla scultura. A Milano si iscrive all’Accademia di Brera e frequenta gli studi di grandi artisti contemporanei come Ernesto Treccani e Domenico Purificato. Con altri giovani artisti fonda qui il Nuovo Realismo organizzando mostre nei locali notturni e diventando il pittore della notte.

Dopo la parentesi di Cinecittà, Squicciarini segue il prezioso invito di Fellini e conosce Marc Chagall a Saint Paul de Vence. Negli anni le sue opere girano per l’Europa e raggiungono anche l’America: la gallerista Mary Boone cura una sua personale a New York. Poi, dal 2016, l’Oriente: Cina, Giappone e Corea, Seoul in particolare lo accoglie nel prestigioso Arts Center Hangaram Art Museum.

Per Squicciarini: «L’artista è un uomo puro. Tutti sono artisti a patto che conservino il bambino che hanno dentro e diventino uomini e donne coltivando la propria creatività, il talento non si cerca negli show televisivi. Bisogna anche provare la sofferenza della costruzione della propria vita, fatta di lacrime e sangue e di amore. La vita è come un cielo senza stelle, se non abbiamo amore. Bisogna mettercene in tutto quello che si fa, vale per qualsiasi mestiere, altrimenti tutto è perduto. A Seoul hanno capito subito la forza di questo mio amore che è nato con me: quel bambino di cinque anni è cresciuto, certo, ma nel mio divenire ho sempre cercato anche uno spazio per la solitudine. Perché mi interessa cercare di entrare in un mondo inesplorato, dove esiste qualcosa oltre la logica quotidiana: una libera e incosciente follia, come quella del giullare, un soggetto che mi è molto caro perché per me rappresenta tutto ciò è dietro le nostre azioni quotidiane… e dietro queste azioni si nasconde la nostra immagine di bambini: la purezza e l’ironia. Il giullare è il nostro più autentico ritratto».

ARTICOLO DI IRENE GIANESELLI, OPERE IN GALLERIA DI ANTONIO SQUICCIARINI

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