David Grieco: Laura Betti è ancora qui, parlare di lei significa parlare dell’amore

Laura Betti nacque a Casalecchio di Reno il 1 maggio del 1927. A ricordare e omaggiare una delle più grandi attrici italiane del Novecento nel giorno della sua nascita è uno dei suoi più cari amici: il giornalista, regista, critico cinematografico e scrittore David Grieco.

Ho riletto in questi giorni il tuo articolo di addio a Laura Betti che abbiamo pubblicato su Polytropon, quello che una volta si chiamava coccodrillo e ho scoperto che non è per niente un articolo di addio: tu chiudi il pezzo scrivendo «E mi raccomando. Falle una telefonata. A lei farà piacere. Come sempre». Lo scrivi proprio come se lei fosse ancora qui, adesso.

Ma lei c’è ancora. Laura Betti è incancellabile, sento ancora l’eco della sua voce. Lei è veramente una presenza di cui non puoi, nemmeno volendo, fare a meno. Mi fai ripensare a quando i miei figli erano piccoli e lei mi chiamava. All’epoca vivevo in Toscana e rispondevano i ragazzi, all’epoca avevano dieci, undici anni: correvano da me spaventati dicendomi «Papà, papà, c’è quella de L’esorcista!» perché Laura doppiò il Diavolo di quel film, doppiò la voce della protagonista (interpretata da Linda Blair) quando è posseduta… ecco, la voce di Laura è qualcosa che non si può consegnare alla memoria, c’è ancora. Mi sembra di sentirla qui nella stanza dove sto adesso, mentre parlo con te. Laura aveva una maniera di modulare la voce straordinaria, non si parla mai abbastanza di che cantante pazzesca era. Ma oltre la voce c’è la sua presenza. Laura era una specie di marziana. Fin da giovanissima è stata di una bellezza talmente originale, talmente mai vista che ti lasciava senza fiato. Poi ha cominciato ad ingrassare ed è diventata una stranissima creatura, la vedevi a dieci chilometri di distanza, si imponeva, ma sapeva anche essere buffa. È stato un essere unico al mondo, Laura Betti.

Ecco, le canzoni! Tu sicuramente hai seguito tutto il progetto di Giro a vuoto

Sì, io l’ho vista cantare ed ero letteralmente incantato. Se fosse stata francese sarebbe diventata importante come Barbara o Juliette Gréco.

Ma tu come e quando l’hai incontrata?

Io l’ho incontrata con Pasolini. Mi trattò malissimo, come faceva sempre [ride, ndr], ma in realtà lei era timidissima e aveva questa forma di difesa per cui di primo acchito ti trattava sempre male. Ma poi nacque un grande amore. Ma presto, molto presto. Nacque un grande amore per il quale lei a tutte le mie compagne, compresa la madre dei miei figli che è stata anche mia moglie, non rivolgeva nemmeno la parola se erano presenti. Loro sopportavano, ma era una cosa incredibile da osservare. Laura ha avuto anche dei flirt, ma è sempre stata una creatura a sé e poi questa dedizione a Pasolini è nata molto presto. Lei è stata la donna di Pasolini per tutta la vita di Pasolini, c’è poco da fare. Pasolini una donna ce l’aveva ed era Laura Betti che tra l’altro con Susanna Colussi, la madre di Pasolini, andava assolutamente d’accordo.

Era un rapporto diverso, ma diverso non basta. Direi che è stato un rapporto metafisico.

Assolutamente. Hai detto la parola giusta: è stato un rapporto metafisico. Ma perché Laura esorcizzava il sesso. Chiamava tutti noi uomini al femminile. Io ero Davida, [Pier] Paolo [Pasolini] era Paola, Alberto [Moravia] era Alberta. Perché in quegli anni, gli anni Sessanta, in una città come Roma c’era una omosessualità molto evidente rispetto ad altre città e questo in qualche modo impressionò Laura e lei trovò questa chiave per superare con un salto la sessualità delle persone che incontrava chiamandole tutte quante al femminile. È stata la sua battaglia per i diritti civili, prima di tutti e tutte.

E questo già negli anni Sessanta, è una donna meravigliosamente moderna, ancora oggi sembra essere avanti di almeno due secoli rispetto a noi.

Assolutamente moderna, hai detto bene. È difficile ricordarla per questo: è sempre presente.

C’è una cosa che mi colpisce di Laura Betti. È piena di compassione ma anche molto decisa, contestava Pasolini quando lavoravano insieme se non era d’accordo su qualcosa e si confrontava con lui senza timori, senza limiti. Così si confrontava sempre con tutte e tutti, sempre con questa libertà.

Questo l’ho vissuto quotidianamente per lungo tempo, soprattutto quando mettemmo insieme il Fondo Pasolini che fu una idea straordinaria di Laura che ancora esiste e che ora è a Bologna in salvo, consultato da tanti studenti. Quando eri a contatto con Laura ti dovevi sempre confrontare, la parola chiave l’hai pronunciata tu ed è confronto. Niente poteva essere dato per scontato, tutto era confronto e si arrivava alle cose solo attraverso il confronto. Era veramente un osso duro e per Pasolini è stata l’osso più duro di tutti perché poi era lei a volere questo confronto in momenti che avrebbero dovuto essere di relax per lui: invece scoppiavano battaglie per qualunque cosa, non dava mai nulla per scontato.

E questo anche nel Cinema, no? Tu eri con lei quando ha girato Teorema, quando poi ha vinto la Coppa Volpi al Festival del Cinema di Venezia…

Sì, certo. Io l’ho incontrata che era già a Roma, parliamo di più di cinquant’anni fa. La Coppa Volpi è arrivata nel 1968, io avevo diciassette anni e la conoscevo già da due anni, sì. Però con lei non sono mai stato sul set, perché quel poco che Pasolini ha voluto tenere di me (e lo sai, dico sempre che ero un cane con una bella faccia, l’ho scritto anche nel coccodrillo…) è ridotto ad una scena. Però l’interpretazione in Teorema è stata la sua più grande interpretazione e anche lì, lei non capiva perché Pasolini la volesse in quel ruolo così, la volesse imbruttire. Anche lì c’è stata una battaglia tra loro e per convincerla lui ha tirato fuori l’anima. L’ha convinta però, e poi lei ha convinto tutti con quella grandissima interpretazione.

Questa cosa che dici: «Lei è ancora qui», mi fa pensare che questo “esserci ancora” lo condivide proprio con Pasolini: è una cosa che fa paura a molti ed è anche la cosa contro cui molti lottano e invano.

Sì, ma lei per me ancora di più rispetto a lui. Adesso che ti sto parlando ho come la sensazione che lei mi stia ascoltando e stia per dire «Ma quante cazzate dici, io non sono così?!». [ride, ndr]

E se non è come me la stai raccontando tu, com’è?

Lei non si definiva. Hai detto bene tu: lei stessa è una figura metafisica. Sì, lei contestava, ma non si descriveva mai in un modo, le piaceva essere tante cose diverse. Le è piaciuto fare Teorema, essere quel personaggio che detestava così tanto quando lesse la sceneggiatura e alle prime indicazioni di Pasolini. Voleva essere sfidata. Ecco: sfidava e voleva essere sfidata, continuamente.

E anche questa è una cosa moderna oggi. Le attrici oggi fanno sempre più “loro stesse” con le proprie monomanie e noiosissime fragilità, non vogliono essere sfidate e non sfidano nessuno, si replicano nella bellezza come nella bruttezza.

Infatti, oggi le attrici sono così, ma bisogna anche dire che non sono stati molti i registi che hanno capito Laura. Se fossero stati molti sarebbe stata una delle più grandi attrici italiane di tutti i tempi. Lo è comunque, lo è, però ai registi faceva paura.

Tra i tanti registi con i quali ha lavorato ti chiedo solo di due in particolare. Bertolucci l’ha capita? Per lui ha recitato in Novecento, altra straordinaria interpretazione di un personaggio difficilissimo, e in Ultimo tango a Parigi (anche se la scena venne tagliata).

Laura aveva con Bernardo un rapporto che era in qualche modo il riflesso del rapporto che Pasolini aveva con lui. Quindi lei era molto materna con Bernardo, poi a un certo punto tutto è precipitato quando Pasolini ha pesantemente litigato con Bernardo dopo avere visto Ultimo tango a Parigi. Pasolini lo attaccò violentemente, gli disse che era un film borghese, ma proprio a brutto muso e lì ci fu una frattura tra loro due, poi anche la partita di calcio tra la troupe di Salò e quella di Novecento non riuscì ad essere un momento di riappacificazione perché Bernardo (che di calcio non capiva quasi niente) si lasciò convincere e vinse poi la partita chiamando dei giocatori praticamente professionisti. Fu il litigio definitivo, perché Pasolini al calcio teneva moltissimo. Laura in quegli anni cercò di ricucire il rapporto, ma non ci riuscì. Questo rimase un rimpianto per lei, Laura ha sempre voluto bene a Bernardo, anche se lo maltrattava, ma quando Laura maltrattava qualcuno era perché lo amava. Purtroppo la sua scena di Ultimo tango fu tagliata a causa delle vicende travagliatissime del film, la censura fu devastante. Bernardo dovette tagliare scene, personaggi, fu processato e condannato per quel film…

E Fellini l’ha capita?

Fellini se l’è ritrovata servita su un piatto d’argento, lui non cercava attori, cercava personaggi già pronti e lei era un tutt’uno perché si era costruita da se stessa, sembrava fatta apposta per il mondo di Fellini. Ma ai registi lei faceva paura, te lo ripeto.

In una intervista a Mino Monicelli, Laura Betti racconta come il litigio furioso che ebbe con Marcello Mastroianni a cena sia diventato il litigio tra i loro rispettivi personaggi ne La dolce vita.[1] 

Plausibile, potrebbe anche essere una leggenda, sai che nel Cinema se ne inventano tante, ma è molto plausibile. Con Laura si litigava, c’è poco da fare. Me ne sono andato spesso dopo nemmeno cinque minuti che ero entrato in casa sua, sia quando abitava a Via di Montoro sia quando stava a Piazza Cavour, perché la trovavo di un umore tale… oppure la trovavo sdraiata nel letto che faceva finta di essere morta e non mi rispondeva e allora me ne andavo [ride, ndr]. Ma mi facevo anche un sacco di risate con lei, non era mai una cosa drammatica! Anzi, la verità è che con lei ho riso più che con tutti nella mia vita.

Come quella volta all’aeroporto…

Sì, anche lì, che coraggio! Andammo a Stoccolma per l’Istituto Italiano di Cultura. A Stoccolma Pasolini c’era stato qualche giorno prima di essere assassinato, ci invitarono per una conferenza. Arrivammo all’aeroporto di Fiumicino, il doganiere stava lì dietro il vetro, esibimmo il passaporto. Sul passaporto di Laura la sua data di nascita era stata cancellata con il bianchetto [ride, ndr]. Lei aveva poi scritto a penna una nuova data e io a quel punto, terrorizzato, pensai: «Qui ci arrestano!». La fulminai con lo sguardo, proprio la fulminai: «Come cazzo t’è venuto in mente?» le avrei detto se avessi potuto, e il doganiere intanto disse: «Guardi, questo è un passaporto contraffatto!» e Laura per tutta risposta cominciò a urlare: «Io sono un’attrice, se sanno la mia vera età io non lavoro più, mica sono come lei che sta lì dietro a non fare niente tutto il giorno!». Mi sono visto già incarcerato, per fortuna non nella stessa cella, almeno quello… [ride, ndr] invece la veemenza, la forza di Laura fu tale che il doganiere ci tirò dietro i passaporti e ci lasciò passare. «Andate via!» urlava sconvolto. Poi non so come abbia fatto, perché siamo tornati a Roma, ma io mi sono ben guardato dallo starle vicino nelle file successive. E lei è riuscita tutte le volte a passare con il bianchetto sulla data di nascita… era un osso duro, te l’ho detto! [ride, ndr] Solo che la dovevi conoscerla bene per mantenere un rapporto così, molti scappavano. Però questo era anche il suo modo di selezionare le amicizie.

C’è una logica, anche piuttosto stringente in questo: non si può certo biasimarla.

Ma assolutamente, certo che c’è: per essere amico suo dovevi capirla e capirla non era facile.

E poi una volta che capivi lei riuscivi anche a capire meglio te stesso?

Ma in realtà lei ti ordinava quello che dovevi fare. Sì, lei dava ordini, ma in modo anche molto affettuoso. [ride, ndr] «Quella la devi lasciare!» oppure «Quel lavoro non devi farlo!» ma era straordinariamente razionale in tutto questo, più che consigli erano ordini. Te l’ho detto, era un essere unico. Era totalmente imprevedibile, solo che poi spesso la cosa straordinaria è che aveva ragione. Non so quante volte mi sono dovuto ricredere, ci siamo dovuti ricredere, Pasolini compreso. Tante volte lei diceva: «Non frequentare quella persona» così, per istinto, e aveva sempre ragione, sempre. Aveva questo istinto particolare, protettivo, come poi spesso del resto gli artisti hanno. Era un istinto tutto suo, unico.

Se non fosse stata così unica non avremmo avuto il Fondo Pasolini.

Infatti, mai e poi mai lo avremmo avuto. Ma una cosa in particolare devo dirla prima di parlare del Fondo. Laura è riuscita a fare un miracolo, anzi due. Il primo miracolo: quando Pasolini era vivo è stata lei a sostenerlo e a fare capire agli intellettuali che in realtà in lui non c’era niente di mostruoso e terribile. Lei, con quella sua ironia, chiamando tutti al femminile, è riuscita a proteggerlo dal moralismo e a mettere tutti sullo stesso piano, senza troppi giri di parole. Il secondo miracolo l’ha fatto quando è morto: sai in quanti si sarebbero limitati a bollarlo come omosessuale e basta? Lei questa cosa l’ha impedita in qualche modo. Non a caso sono le donne, siete voi, oggi, a proteggere Pasolini da questo marchio. Mi sono accorto di questo all’epoca de La Macchinazione osservando come il film veniva accolto dalle donne. Se fosse per gli uomini, ancora oggi, si continuerebbe a parlare solo dell’omosessualità che invece è una cosa assolutamente normale, non dovremmo nemmeno starne a parlare e invece… davvero c’è bisogno di ribadirlo?

Capisco cosa intendi: Pasolini ha sempre pagato per la sua omosessualità come Sandro Penna e molti altri e infatti lui stesso diventò un punto di riferimento per loro. Il problema è proprio qui: l’omosessualità è stata usata per cercare di nascondere i suoi talenti e la sua potenza di intellettuale. Purtroppo hai ragione, stiamo ancora qui a dire che non c’è proprio niente da normalizzare, stiamo ancora qui e ancora oggi si cerca di usare un marchio su Pasolini, lo fanno anche certi studiosi. Credo sia il loro modo per non affrontare la sua ideologia, li spaventa e pensano di poterlo arginare in questo modo.

Sì, è così. Pasolini fu un riferimento importante, lo fu per Braibanti, lo fu per lo stesso Penna e per tanti altri. Ma lui aveva Laura e gli altri no. Se non ci fosse stata lei a rompere gli schemi, con la sua intelligenza e il suo coraggio, lui sarebbe stato ancora più solo sia da vivo che da morto. E qui torniamo all’immenso lavoro di Laura nel costruire questo archivio. Lei ha veramente recuperato tutto il materiale di o riguardante Pasolini facendo anche dei salti mortali incredibili, avendo a che fare poi con montagne di burocrazia, con il Ministero della Cultura che in Italia peraltro neanche esisteva, allora era il Ministero del Turismo e Spettacolo, con la Rai che buttava il materiale… infatti molte delle cose che eravamo riusciti a recuperare poi la Rai cominciò a chiedercele e lei ogni volta diceva: «No, ma se l’hanno buttata! Poi gliela diamo… e poi gliela damo…» e giustamente perché queste cose oggi le puoi vedere, ci puoi lavorare, sono su RaiPlay, la Rai adesso ha un archivio che funziona. Ma senza di lei sarebbero andate perdute. Tutta la conversazione tra Pasolini e Ezra Pound l’hanno recuperata dal Fondo Pasolini e gliel’ha restituita Laura, altrimenti non esisterebbe più. Era stata buttata quella conversazione. È stata brava, davvero brava: aveva il giusto rispetto, ma rimaneva se stessa, molto determinata e abile nel mantenere anche i rapporti istituzionali più complessi, è sempre stata all’altezza della situazione. Lei ha difeso Pasolini dopo la sua morte come nessuno, lo abbiamo cominciato insieme il Fondo ma al Fondo hanno lavorato centinaia e centinaia di giovani che poi hanno fatto la loro vita e la loro carriera. È stata una grande esperienza per tutti, una Università dove si faceva un vero e proprio tirocinio, inutile fare i nomi: dal Fondo ci sono passati in tantissimi giovani chi per meno tempo, chi per più tempo. E anche lì, anche lì lei selezionava.

Era giusto così.

Era Laura.

Però c’è una cosa che mi viene in mente mentre mi parli di lei. Il senso di protezione che mi ha sempre profondamente toccato nel vedere le foto del funerale di Pasolini a Casarsa. Lei è lì, bellissima e decisa che sembra proteggere tutti.

Sì, io non c’ero, io non c’ero a Casarsa ma lei era davvero uno scudo in quei momenti, so bene come si comportava. Io c’ero a Campo de’ Fiori, lì Moravia spaventato fece il suo discorso ad una folla che nessuno si aspettava di trovare davanti alla bara di Pasolini e infatti era così agitato che perse i foglietti su cui aveva appuntato il discorso, lo fece a braccio e solo alla fine riuscì a tirare fuori la sua anima e a dire cose bellissime. All’inizio era sconvolto da tutti quei volti che venivano anche da Tor Pignattara, dai quartieri della periferia. E fu lì che Laura riuscì a tranquillizzare tutti, in mezzo a questa folla impressionante. Fu in quel momento che io sentii dire a Franco Citti la famosa frase «Ma allora non è morto solo un frocio!». Avevano preparato un palchetto modesto, nessuno credeva potesse arrivare così tanta gente e invece già da Largo Arenula non ci si poteva muovere, arrivò il servizio d’ordine della Sezione per farci strada, altrimenti non avremmo potuto portare la bara in piazza. Anche lì Laura riuscì a tenere tutti insieme, a tranquillizzare e a dare forza. Ma Laura non aveva paura di niente, non ha mai avuto paura di niente e di nessuno. Come Pier Paolo, forse ancora più di lui.

E poi lei ci guarda. Dallo schermo, quando canta, quando legge, sempre, quando rivedo una sua interpretazione mi accorgo di quanto sia lei a guardare lo spettatore e non viceversa.

Assolutamente. Lei ha uno sguardo incredibile, di una forza veramente non comune e per questo penso non ci possa essere nessuno in grado anche solo di ricordarla. Lei è lei, troppo tutto, troppo Laura Betti perché si trovi qualcuno in grado di somigliarle.

Eppure, noi non facciamo abbastanza per ricordarla. Non la ricordiamo abbastanza, come non ricordiamo abbastanza Gabriella Ferri: sono due artiste diverse, ma entrambe meriterebbero molta più riconoscenza e attenzione.

Hai fatto un bellissimo paragone, anche se loro sono diverse, è vero, anche Gabriella Ferri è stata una persona unica. Che non facciamo abbastanza, non c’è dubbio! Solo che Laura non se ne avrebbe a male, ha sempre fatto tanto per gli altri. Una persona così egocentrica, all’apparenza, era una persona totalmente altruista in realtà. Lei per se stessa non ha mai fatto niente, s’è sempre dedicata agli altri. Avrebbe potuto concentrarsi sulla sua carriera di attrice e di cantante, ma non l’ha mai fatto. Anzi, dopo la morte di Pasolini si è dedicata alla sua memoria, ha fatto solo le cose che in qualche modo contribuivano alla sua battaglia per lui. Lei era di una bellezza… ha annullato il suo corpo, ha annullato la sua femminilità ad un certo punto, si è modificata, si è nascosta dietro dei grandissimi occhiali e sotto dei kaftani: sempre con quello sguardo, sempre con quell’atteggiamento sfidante. Ma quello che è sempre rimasto identico è stata la sua risata. E Pasolini l’ha usata tanto, tanti registi l’hanno usata. Era una risata bellissima, fragorosa ma ambigua. Non sapevi mai se era una risata o una minaccia, echeggiava, poteva essere anche un gesto di scherno. Quando sentiva qualcosa di intollerabile faceva questa risata e chi aveva pronunciato quella cosa intollerabile aveva addosso i brividi. Non l’ho mai vista piangere, mai. Mai che io ricordi. L’ho vista frignare, ma recitava, non si è mai concessa debolezze. Era forte, era molto forte. Non era nemmeno femminista, con le femministe ci litigava. Era oltre. Per questo ti posso assicurare che oggi ti direbbe: «Non si ricordano di me? E chi se ne frega, non starci troppo a pensare!».

Avrebbe ragione. Non è lei ad avere bisogno di noi, siamo noi ad avere bisogno di lei.

Assolutamente, c’è tanto bisogno di Laura Betti.

Era politica in tutto. Dal corpo alla risata.

Sì, è così. Il personale è politico: non c’è caso più illuminante di Laura Betti. Hai detto una cosa importante: Laura Betti era pura metafisica, per questo è impossibile che ce ne sia un’altra.

Tutta la sua generosità la ricordavi anche nel coccodrillo, fu molto vicina a Sergio Citti quando lui si ammalò…

Sì, Sergio Citti era molto malato. Non aveva una pensione e stava praticamente morendo di fame, questo due o tre anni prima della sua morte. Chiedemmo per lui la Legge Bacchelli ma la pratica fu interminabile e infatti la ottenne Franco Citti, suo fratello. Così a Laura e a me venne l’idea di fare una colletta e di farla su l’Unità, il giornale per il quale io ho lavorato e con il quale ho sempre mantenuto un bel rapporto finché è esistito. Che io sappia non è mai stata fatta in questi termini una colletta, forse nell’immediato dopoguerra e l’Unità disse sì, indicammo un Iban, raccogliemmo una cifra molto vicina ai quarantamila euro e questa cifra permise a Sergio di vivere dignitosamente fino a che è morto con un tumore. Era già paralizzato e completamente sordo all’epoca, stava davvero molto male. Insomma, facemmo questa cosa insieme a Laura e Sergio rimase incredulo quando gli portammo questi soldi.

Torniamo al tuo articolo per lei. Il titolo dice tutto, Laura Betti “pazza” è virgolettato, come sempre vuoi farci capire che bisogna andare oltre, cioè che erano gli altri a metterle addosso una etichetta.

Sì, era considerata pazza da tutti, ma non lo era per niente, quella era la sua corazza. Per esempio: Fratella e sorello fu l’ultimo film di Sergio Citti con una vicenda produttiva disperata, però proprio in quelle condizioni disperate Laura ci volle essere, come sempre, sempre con quell’affetto. La verità è che quando si parla di Laura si parla d’amore. Che è l’esatto contrario di quello che credono i tanti che la consideravano pazza.

Ma è un problema solo loro, no?

Certo, è rimasto solo un loro problema, per Laura non lo è mai stato.

Sai che forse hai proprio ragione. Anzi, hai proprio ragione, senza forse. Lei è davvero ancora qui, ci guarda e ride di noi. E famosela ‘sta risata, no?

[Ridono, ndr].

ARTICOLO DI IRENE GIANESELLI

[1] Mino Monicelli, Cinema Italiano, Ma cos’è questa crisi?, Bari, Editori Laterza, 1981

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