Il documentario “Notarangelo ladro di anime” di David Grieco è stato presentato venerdì tre maggio nell’ambito del Bari International Film Festival 2019.
Credo di potere affermare che David Grieco abbia un dono speciale. Sì, deve chiamarsi dono la capacità di restare con i piedi nella Storia facendo ruotare le spalle strette attorno al proprio asse: David Grieco riesce a fare questo con la materia viva, umana, quando gira un film.
È riuscito a farlo quando ha affrontato con lucidità l’omicidio di Pier Paolo Pasolini ne “La macchinazione” e oggi lo ha fatto ancora con “Notarangelo ladro di anime”, un documentario che raccoglie molte voci e molti sguardi attorno ad un uomo, ad un luogo e ad un tempo. Grieco è riuscito a riunire attorno al lavoro di Domenico Notarangelo, fotografo e sociologo, segretario del Pci di Matera, l’impegno, l’entusiasmo e il lavoro di altre persone. Le persone, le persone sono importanti (parafraso Nanni Moretti, me ne rendo conto, ma il gioco è involontario).

Grieco è riuscito, mettendo le mani in un archivio in cui è conservata una memoria storica del sud e della Lucania, di Matera e dei materani, a raccontare e restituire in tutta la sua complessità di spinte politiche, economiche e sociali, la Storia del nostro Paese.
È come se Grieco da quel sussurro con cui Notarangelo dal letto di ospedale gli ha chiesto di aiutare i propri figli a preservare il lavoro di un vita, avesse tirato fuori un canto incalzante e potente come solo un canto ctonio della tradizione può essere (non è casuale la scelta dei Soballera per la colonna sonora del documentario).
Sì, Grieco ha questo dono. Riesce a parlare della Storia, a trovare i nessi causa-effetto, a condurre una indagine su quello che siamo diventati e sa anche come trasmettere tutto questo, sa come raccontare e farsi capire. Anzi, no. Lui non vuole spiegare mai agli altri cosa e come e dove guardare. Non sale in cattedra. Lui prende i pezzi, li elabora, li organizza e poi quei pezzi li lascia brillare da soli, li rigetta nel mondo da cui li ha tratti perché è compito dello spettatore comporli e incastrarli insieme.
Tra le tante cose che riesce a trasmettere, oltre che la passione per la verità, per la giustizia e per l’incontro con gli altri – questo documentario sembra il pretesto per una festa nazionalpopolare in senso gramsciano – Grieco riesce a trasmettere la passione per la ricerca in sé. Credo sia una percezione comune: pensa sempre a mettere da parte una testimonianza per i giovani questo giornalista e scrittore che sa ascoltare. Lo fa quando scrive, lo fa quando dirige i suoi film, lo fa anche quando legge e guarda il lavoro degli altri.

Dopo un’ora di proiezione rimane un senso forte di nostalgia. Nostalgia di un tempo che non può tornare, che non abbiamo. Non sappiamo se riusciremo mai a rivedere quell’unità che portava le persone nelle piazze, ad agitare bandiere rosse e a credere, sì, a credere che insieme si poteva cambiare questo mondo malato, sprofondato troppo in fretta in un fascismo che oggi tardiamo a riconoscere ancora maledettamente vivo e ansimante. Nemmeno un secolo è passato da quel fascismo che stuprava, ammazzava, deportava e faceva scempio di spiriti e corpi.
Non sappiamo se vedremo mai quelle bandiere tornare stracci perché sia il più povero a sventolarle. Però David Grieco ha saputo rendere omaggio ad un fotografo che guardava il mondo, ad un segretario del Pci che incarna, a guardarlo oggi, tutta la bellezza di un tentativo onesto di costruire un Paese migliore da un lato e tutto il fallimento del moderatismo e del conformismo che non siamo riusciti a scrollarci di dosso nemmeno in questi tempi, mentre cerchiamo di chiudere gli occhi di fronte agli esiti di una rivoluzione che non è mai cominciata davvero.
David Grieco ci viene a stanare nei nostri nascondigli di borghesi inconsapevoli, viene a ricordarci che “vivere” non è qualcosa che si può mai dare per scontato. Del resto non si dovrebbe mai dare per scontato nemmeno la bandiera: di quale stoffa è fatta?
Chi l’ha cucita?
Perché non chiediamo di partecipare alla tessitura?
Chi viene dal basso non potrà mai veramente partecipare alla tessitura. Può solo sventolare le bandiere che qualcuno gli mette in mano. O rifiutarsi. Ai borghesi basta stare un gradino sopra qualcun’altro.
"Mi piace""Mi piace"