In Europa e nel mondo si vive di odio: sappiamo che esiste il 27 gennaio per ricordarci dei campi di sterminio nazisti, eppure pochi giorni fa abbiamo dovuto assistere con profonda angoscia ad una porta marchiata con la stessa stella che avevano cucita addosso gli ebrei torturati dalle SS.
Quale orrore scoprire che non siamo in grado di reagire, che abbiamo la sensazione di essere fermi al secolo scorso.
Certo, siamo indignati, ma all’odio e alla violenza non sappiamo davvero rispondere e l’indignazione è come i buoni sentimenti: serve a mascherare l’impotenza e le complicità, a volte anche l’indifferenza. Ma le sedi per una risposta concreta non sono i social, i cuoricini o i like, questo è ovvio ed è pur bene ribadirlo.
C’è sempre un indesiderato nei nostri Paesi. C’è sempre una strega da mettere sul rogo, uno straniero, un diverso da accusare e da torturare: i giornali non fanno mai a meno di specificare le etnie, il sesso o le personali inclinazioni delle persone coinvolte nelle notizie più diverse, per anticipare e forgiare i giudizi dei lettori. Nel bene e nel male i giornalisti spesso esigono specificare se una persona uccisa è una prostituta o se è omosessuale o se è questo e quell’altro. Perché il meccanismo del giornalismo è diventato: devo trovare un titolo che attiri i lettori, più lettori e consensi attirerò, più pubblicità otterrò. E più pubblicità significa più soldi, più soldi significa sempre più potere. Tutto in nome del potere, e quanto ad onestà intellettuale la maggior parte delle testate (anche online) ignora la questione. E questo, che potrebbe sembrare un altro discorso, è il discorso. Sappiamo noi distinguere? Sappiamo noi analizzare e capire la realtà o ci accontentiamo di accettare qualche cosa che ci viene già dato?
Edoardo Erba ci ricorda tutto ciò con il suo romanzo, anche se tocca e incarna altri aspetti della realtà, altre storie: la protagonista di Ami (Mondadori, 2019) è Amina, una ragazzina che seguiamo dal Marocco del 1987 all’Italia del 2017.

Non si tratta, però di un Bildungsroman: Ami è già formata e questo le rende invincibile. È formata di natura, questo personaggio si fonda proprio su una naturalità piena di grazia. Edoardo Erba vuole che il lettore si accorga di un aspetto in particolare: Ami non ha una istruzione solida, nasce in un contesto socialmente degradato, subisce violenze e sa da sempre che la violenza è il codice di una vita come la sua che sta nascosta nell’ombra proiettata da meccanismi che le sfuggono e che non può nemmeno immaginare. La povertà di questa giovane donna, la povertà di mezzi e di orizzonti, però, non coincide con il suo cuore.
Ami è la sua voce: in quello che potrebbe essere un lungo monologo, Edoardo Erba raggiunge un realismo che tra gli scrittori contemporanei sembrava oramai perduto. È il realismo che consente all’autore di tratteggiare la purezza della sua eroina che è davvero eroica proprio perché nonostante il male degli uomini e delle donne (perché sono le donne tanto quanto gli uomini a venderla e a comprarla, ad abusare della sua gioventù e della sua solitudine) non diventa mai, in nessun modo, somigliante o aderente ai suoi torturatori.
Le vengono fatte promesse di felicità semplici, fin dal principio. Ami non vorrebbe soldi e potere, Ami vorrebbe unicamente amore prima, benessere per il proprio figlio poi.
Solo per l’amore compie le sue azioni, viaggia, lavora, sempre con la schiena piegata verso qualcosa o qualcuno.
Umiltà, in questo romanzo, assume una valenza diversa: Ami non è semplicemente la piccola zania sprovveduta che tutti marchiano meschinamente (perché i marchi sono meschinità disumane), la sua umiltà non è solo attitudine morale o religiosa (che farebbe di lei una Maria cristologica contemporanea), ma diventa questione etica.
E solo nel momento in cui l’umiltà diventa questione etica che lei può sopravvivere: “l’umiltà è soprattutto una qualità dell’attenzione” direbbe Simone Weil e Ami è molto attenta a chi le sta intorno ed entra in relazione con lei. Sembrerebbe, questa giovane, votata ad una forma autentica e ultra-umana di commozione.
Ami ha il talento di entrare in relazione con il mondo e il suo non essere in grado di distinguere chi potrà farle del male non coincide con la sua capacità di distinguere il male nell’umanità: capacità questa, che le viene dalla creaturalità.

Lo scontro con il figlio integralista che vorrebbe fare la jihad si trasforma in un incontro: Ami disobbedisce, cambia le regole sociali e segue quelle dell’umanità, non impara ad odiare, chiede aiuto anche quando chi le porge la mano vorrebbe annullare la sua femminilità, ma rinunciare allo stare nel mondo, in mezzo agli altri e a relazionarsi con tutto questo è una opzione mai presa in considerazione.
Anche nella scelta finale, tutto in Ami racconta di quell’umiltà che significa venire dalla terra, radicare la propria esistenza infrangendo qualsiasi dettato politico o religioso e sociale.
Edoardo Erba ci ricorda che le preghiere in fondo sono tutte uguali quando si cerca un Dio che coincide con la vita stessa e non con la religione, ci ricorda che le guerre sono tutte uguali perché sono fatte contro qualcuno che ci somiglia e che temiamo, che gli uomini e le donne sono uguali quando odiano perché il male può declinarsi in molte forme, ma è sempre odio ed è sempre male.
Odiare e temere ciò che non si conosce e non si capisce (o che non si vuole conoscere e non si vuole capire) è facile. Come è facile affidarsi ad una fede cieca. E la fede cieca è il primo motore immobile di questa contemporaneità, incapace di analizzare e di credere nella realtà, ma sempre pronta ad affidarsi a verità superiori (che siano partiti, religioni o filosofie). Perché se per la via più breve è più facile ottenere qualcosa che si desidera fortemente e si crede quasi impossibile, allora è per quella via breve che l’umanità sceglierà di camminare.
Esistono, però, anche persone come Ami. Persone che non scelgono la via breve e che sanno distinguere tra le macerie di questa civiltà perché non hanno paura di tenere lo sguardo fisso sulla realtà, di guardarla e di vederla.