Ippolito Chiarello: il mio Barbonaggio teatrale è una azione pubblica, politica e poetica

Ippolito Chiarello nasce nel 1967 a Corsano in provincia di Lecce dove si Laurea in Lettere con indirizzo di arte e teatro contemporaneo e una tesi su Mistero Buffo di Dario Fo che, diventato Nobel per la letteratura gli offre di diventare il suo biografo ufficiale. Chiarello rifiuta: vuole fare l’attore.

Collabora per circa dieci anni con la Compagnia Koreja di Lecce con la quale prende parte ad importanti spettacoli come Acido Fenico (2000) con i Sud Sound System e la regia di Salvatore Tramacere e Brecht’s dance (2001), con la partecipazione di Raiz, leader degli Almamegretta e i testi di Gigi Gherzi.
Con il Cerchio di Gesso di Foggia è Vanzetti nello spettacolo Sacco e Vanzetti (2006) con la regia di Simona Gonella. Nel 2007 fonda NASCA TEATRI DI TERRA con cui produce i fortunati spettacoli Oggi Sposi (2002) con la regia di Maria Cassi, Fanculopensiero stanza 510 (2008) con la regia di Simona Gonella e da cui nascerà il movimento del Barbonaggio teatrale, Psycho Killer (2014) e Club27 (2018) con la regia di Michelangelo Campanale e con i testi di Francesco Niccolini. Nel 2012 inizia una collaborazione come attore con la Compagnia Factory e con la regia di Tonio De Nitto entra negli spettacoli Romeo e Giulietta (2012), La bisbetica domata (2014), Il Misantropo (2018) fino a Mattia e il nonno (2019) che conquista il Premio Eolo Award 2020 (l’Oscar italiano del teatro ragazzini) come Migliore spettacolo italiano con la seguente motivazione:

“Per aver proposto con estrema poesia e delicatezza, traendolo dal libro omonimo di Roberto Piumini, il tema della morte, così spinoso da offrire al pubblico dei ragazzi. Per mezzo dell’interpretazione felice e leggera di Ippolito Chiarello, lo spettacolo, si muove sulla sapiente e immediata riscrittura che Tonio De Nitto ha fatto del libro. La narrazione dell’interprete ci accompagna amorevolmente, mano nella mano, in compagnia del piccolo Mattia e di suo nonno, che da poco lo ha lasciato, in un viaggio fantastico attraverso uno scenario sempre vivo e pulsante, che ci farà comprendere in modo poeticamente profondo come tutte le persone che abbiamo amato, non spariranno mai, rimanendo in maniera durevole dentro di noi”.

Barbonaggio teatrale: di che si tratta?

Il Barbonaggio teatrale ha compiuto dieci anni nel 2019. Abbiamo festeggiato mettendo insieme tutto quello che è accaduto in questi anni, non ultimo il ritrovamento di un bambino che aveva due anni quando l’ho incontrato e che ho incontrato ormai dodicenne. In questi anni il progetto si è sviluppato: volevo capire quanto l’arte, l’espressione artistica, incidano sulle persone e sulla loro crescita. Durante il lockdown sono stato molto critico rispetto al fatto che il pubblico non ha preso posizione rispetto alla condizione dei lavoratori dello spettacolo. Il progetto è nato perché cominciai a chiedermi quanto il mio mestiere fosse importante, quanto io volessi fare il mio mestiere tutti i giorni perché di fatto in Italia non è così, non si può fare questo mestiere di stare sul palco tutti i giorni dell’anno… L’altro problema che volevo affrontare riguardava il pubblico: nei Teatri di solito è sempre lo stesso. Allora come si fa a intercettare l’altro pubblico, i cittadini, le persone? All’estero il teatro non è vissuto dal pubblico come un qualcosa di elitario… Un giorno l’ufficio stampa dello spettacolo Fanculopensiero stanza 510 (2008, ndr) mi ha chiesto di fare delle azioni in strada per pubblicizzare le recite e così ho preso un pezzo di scenografia, mi sono messo l’impermeabile del personaggio e sono stato un paio d’ore per strada e lì è successo quello che mi ha aperto gli occhi: la gente ha cominciato a fermarsi, mi chiedeva cosa facessi e allora mi sono detto che questo dovevo fare: prendere il mio spettacolo, farlo per strada. È nata così una azione pubblica, politica e poetica. Lo spettacolo viene diviso in capitoli che hanno un prezzo simbolico (la somma di tutti questi prezzi è 65 € cioè la paga minima di un attore), basta un palchetto che simbolicamente mi elevi da terra e questa è in sé già un’azione simbolica. L’arte non può essere misurata coi numeri, è qualcosa che deve essere sostenuta dallo Stato e dal pubblico: non so come avremmo vissuto senza l’arte questa pandemia. In questi anni sono anche andato all’estero e da questa esperienza è nato anche il film Ogni volta che parlo con me  prodotto da Apulia Film Commission e frutto della fiducia e del supporto delle persone che negli anni per strada mi hanno sentito e visto. Sono partito da Lecce con una multipla insieme a tre amici: siamo andati a Roma, abbiamo fatto la conferenza stampa lì e poi Senigallia, Cannes, Parigi, Londra, Berlino, e di nuovo Lecce. Davvero, è stato un viaggio pazzesco, una delle cose più belle della mia vita e vorrei fare un viaggio così nell’America Latina come I diari della motocicletta. Con il Barbonaggio ho girato più di 500 città e le persone mi aspettavano per vedere questa azione molto forte, molto simbolica, e penso che gli artisti debbano fare qualcosa di personale per portare al pubblico il proprio teatro anche fuori dalle strutture convenzionali. Molti altri artisti so che hanno adottato questa pratica del Barbonaggio teatrale.

Chi ad esempio?

Posso nominartene alcuni: Gianluca Preite, attore tra quelli che lo hanno praticato per primi, Cecilia Montomoli (che fa Barbonaggio in Francia, a Nantes), Luana Locorotondo, Sara Bevilacqua, Barbara Toma.

Per il pubblico che esperienza è?

Può diventare molto particolare. In Canada ho messo insieme le persone facendo in modo che potessero salire su un loro palchetto e con i nativi americani e i non nativi ho fatto raccontare loro una storia sulla propria origine, storia, terra… e questi pezzi sono i pezzi della cultura di quel popolo.

Pensi che quest’idea sia nata dopo aver studiato Dario Fo?

Anche. Io sono salito su quel palchetto e ogni volta salgo e ho una grande paura, ho più paura su quel palchetto che a stare sul palcoscenico: significa assumersi una grande responsabilità. I miei punti di riferimento sono, oltre Dario Fo, anche Eugenio Barba, Carmelo Bene e Pina Bausch. Io sono poi un devoto di Carmelo Bene, lo festeggiavamo ogni compleanno dopo la sua morte, ho la registrazione della sua ultima lettura di Dante a Otranto… il suo lavoro è centrale per me, anche se sembra molto lontano da quello che faccio. Bene diceva una cosa importante: che non bisogna rappresentare ma bisogna essere. Diceva che bisogna scomparire per poter lasciare il senso e per me l’azione del Barbonaggio segue questo principio. Eugenio Barba è mio conterraneo, la sua idea del baratto è stata eccezionale: anche io molto spesso non chiedo soldi ma chiedo che qualcuno venga sul palchetto a regalarmi qualcosa, quindi l’operazione antropologica di Barba è il quarto angolo su cui io poggio il mio lavoro, e poi Pina Bausch è fra le più grandi coreografe-autrici della danza contemporanea.

Questo progetto è pensato per gli adulti, ma mi dicevi che stai pensando anche ad una proposta per i più giovani spettatori. Ci sarà anche Matteo e il nonno?

Penso di sì, quattro o cinque anni fa ho deciso di rivolgermi al pubblico dei bambini e ho fatto una prima lettura di questo splendido racconto di Roberto Piumini per vedere se questa storia era adatta, se funzionava in teatro. Solo un anno abbiamo deciso di lavorarci. Ma ogni volta, sin dalla prima volta, ciò che conta è la riposta del pubblico: la commozione, questo raccontare una storia bella anche se parla di una perdita. Per me questo racconto è un farmaco, non solo per i piccoli, ma anche per gli adulti. Mattia e il nonno ha vinto l’Eolo all’unanimità… ma penso che questo è stato possibile proprio perché mi sono formato con il Barbonaggio e ho imparato a raccontare la bellezza in rapporto col pubblico, cercherò sempre di fare tesoro di questa consapevolezza.

Tornerai presto in scena?

Sì, a luglio già abbiamo nuove date, questo è molto importante per me. Il 17 luglio saremo a Porto Sant’Elpidio proprio con Mattia e il nonno. Poi il 12 agosto saremo ad Ostuni e il 30 a Potenza.

ARTICOLO DI IRENE GIANESELLI

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