Viola Graziosi: la voce non mente, nel mio mestiere di attrice cerco Verità


Viola Graziosi fotografata da Tommaso Salamina

Viola Graziosi è una attrice poliedrica. Figlia d’arte, nasce a Roma e cresce in Tunisia. A sedici anni il debutto in una commedia di Turgenev, l’anno dopo Carlo Cecchi la sceglie per interpretare Ofelia nell’“Amleto” di Shakespeare al fianco di Valerio Binasco. Con lui partecipa al progetto Trilogia Shakespeariana con tournée internazionali. Traferitasi a Parigi viene ammessa al prestigioso Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique dove consegue il diploma di recitazione, mentre consegue la laurea specialistica in studi teatrali all’Università Sorbonne di Parigi. Perfettamente bilingue lavora tra Francia e Italia, alternando classico e contemporaneo sempre in ruoli di rilievo. In Italia è diretta tra gli altri da Gabriele Lavia, Cristina Comencini, Piero Maccarinelli, Giorgio Ferrara, Consuelo Barilari, Gioia Costa, Franco Però, Daniele Salvo, Alessandro Machìa. Nel 2013 vince il premio Adelaide Ristori come miglior attrice con lo spettacolo “Intervista” di T. van Gogh per la regia di Graziano Piazza. Recentemente è diretta da Gabriele Lavia ne “I pilastri della società” di Ibsen, al teatro Greco di Siracusa, da Paolo Magelli nella “Medea” di Seneca, da Federico Tiezzi nel “Calderòn” di Pasolini, e di nuovo con Piazza in “Misura x Misura” di Shakespeare, nel monologo “Aiace” di Ritsos per il quale riceve una segnalazione al Premio Ubu e con il quale sarà in scena dal 22 al 25 febbraio al Teatro i di Milano.

La collaborazione con il Teatro i e con il regista Renzo Martinelli prosegue in due importanti progetti: “Tu es libre” di Francesca Garolla e “Penthy sur la bande”, monologo tratto dalla “Pentesilea” di Kleist, in una riscrittura contemporanea di Magali Mougel in scena dall’8 al 18 febbraio.

Parliamo del tuo presente. Uno dei tuoi progetti con Teatro i di Milano è “Tu es libre”.

“Tu es libre” è un testo scritto da Francesca Garolla, una delle migliori drammaturghe che abbiamo in Italia, non a caso il testo è arrivato finalista al premio Riccione, è stato tradotto in varie lingue ed è stato persino selezionato dalla Comédie Française. È «una sconcertante riflessione sulla libertà di scelta», come lo ha definito Moni Ovadia, che è venuto a vederci a Milano. La protagonista della storia è Haner, una ragazza di vent’anni che decide di partire per la Siria e, forse, di unirsi a Daesh. Dico “forse” perché questo è solo un presupposto drammaturgico con il quale si confrontano i personaggi che sono Madre, Padre, Amore e Compagna di studi. Non si tratta di un fatto di cronaca, nulla ci dice che sia successo davvero. Haner è andata via da due anni e nessuno sa il perché. Non ci sono ragioni apparenti. I personaggi si trovano a rispondere a una sorta di tribunale dell’inquisizione che diventa in questo caso il pubblico che vuole capire. Ognuno dà la sua versione dei fatti a seconda del “ruolo”, del suo rapporto con Haner e con questa assenza, con questo mistero. Tutto il resto sono supposizioni, interpretazioni, giudizi o pregiudizi, possibilità, ma non fatti, non “realtà”, ed è molto interessante osservare quanto siamo tutti così spesso vittime di pregiudizi.


Viola Graziosi fotografata da Tommaso Salamina, abito di Tina Sondergaard

Qual è il ruolo che ti è stato affidato?

Io interpreto il personaggio della Madre, che non ha un nome proprio, è la Madre come funzione ed ha una relazione ovviamente molto stretta, viscerale, fisica con la figlia. È la figura “generatrice” e in quanto tale colei che avrà il percorso più doloroso per staccare questo cordone ombelicale, per lasciar andare e “accettare” (si può?) o per lo meno pensare possibile qualcosa di così inaccettabile sotto tutti i punti di vista. Perché? È la domanda della madre. Lei, sua figlia, poteva fare tutto. Perché ha scelto questo? Ci dev’essere una ragione, ci dev’essere un colpevole. Come rapportarsi con una “possibilità” del genere? Quanta colpevolezza risuona in noi? Chi è Haner? Libertà vuol dire “poter fare tutto”? O la mia libertà ha per forza dei confini, dei limiti? L’autrice stessa, presente in scena si pone questa domanda.

Come hai affrontato questo personaggio?

È stato un lavoro lungo e molto ricco. È stata la mia prima “Madre” in teatro, e credo che nel percorso di un’attrice e di una donna, questo rappresenti sicuramente un passaggio. Una crescita. L’incontro con il regista Renzo Martinelli è stato molto forte. Lui ha un modo di lavorare che si trova in sintonia con il mio. È un direttore d’orchestra dalla sensibilità estrema che chiede molto ma lascia anche molto spazio a ciascun attore per far suonare e risuonare il proprio strumento. Mi sono sentita “libera” appunto, nei limiti ovviamente dello spettacolo, nel mettersi al servizio di un lavoro comune. Forse questa è una bella definizione di “libertà”.

L’incontro con Renzo Martinelli ha dato vita a diverse collaborazioni, sarai in scena con “Penthy sur la bande”.

L’incontro con Martinelli, direttore artistico del Teatro i di Milano, insieme a Francesca Garolla, autrice e dramaturg, e all’attrice Federica Fracassi, è stato così bello che volevamo continuare a svilupparlo attraverso un altro testo, un altro personaggio, un altro “terreno d’indagine”. E io sono grata a lui e a loro per questa possibilità. Credo moltissimo negli incontri, quando mondi diversi, individui diversi, persone diverse trovano un terreno comune e creano qualcosa che è un tutto. E più si sviluppa più le cose si approfondiscono. Ci si capisce prima, si impara ad utilizzare un linguaggio comune, simile. L’occasione è arrivata velocemente con questo testo di Magali Mougel, “Penthy sur la bande”, che significa “Penthy sulla striscia”, ma abbiamo tenuto il titolo in francese perché “bande” può significare tante cose che l’italiano “striscia” non racchiude. È una riscrittura della Pentesilea di Kleist. Sarò sola in scena.

Un’altra donna complessa da portare sulla scena.

Viola Graziosi in “Penthy sur la bande” – Foto di Laila Pozzo

Pentesilea è l’Amazzone guerriera che tradita da Achille non solo lo uccide ma lo sbrana a morsi con i suoi cani, in un eccesso d’amore e folle furore erotico. Il testo di Kleist, capolavoro assoluto del teatro romantico tedesco, è stato spesso definito “irrappresentabile”. La Mougel tra le più giovani e promettenti autrici francesi, utilizza una lingua sonora e poetica molto forte per andare a scandagliare tematiche importanti come la fedeltà non solo amorosa ma anche politica, la fedeltà a un’idea, a una visione del mondo, e la negazione di questa, il tradimento e l’amore fino a voler possedere l’amato, la furia che c’è in noi e il senso di colpa legato alle nostre azioni, le voci nella testa, i diversi punti di vista, anche qui una sorta di grande processo interiore. Infatti le voci del Coro che accusano, deridono, ricordano, tormentano si mischiano a quelle di Pentesilea nel tentativo di ricostruire i fatti attraverso immagini poetiche.

Come avete risolto questa stratificazione di voci?

Per mettere in “atto” questa polifonia utilizzeremo dei microfoni speciali, dei quali la caratteristica più interessante è quella dell’olofonia, che riproduce un suono quasi identico al suono reale, che l’orecchio umano non distingue, e persino in 3D! Il pubblico indosserà delle cuffie e percepirà il suono in un rapporto molto intimo, permettendomi di arrivare al punto di sussurrargli nell’orecchio ricreando anche una percezione spaziale. Quando abbiamo presentato un primo studio di questo lavoro lo scorso anno, qualche spettatore ha avuto l’impulso di girarsi, come se ci fosse qualcuno dietro di lui. Questa Pentesilea sarà una sorta di “marionetta sonora” che rivive incessantemente lo stesso dramma.

C’è un filo rosso che collega Aiace e Penthy: la violenza del e sul corpo, il rapporto con un maschile tutto da penetrare.

Viola Graziosi in “Penthy sur la bande” – Foto di Laila Pozzo

L’“Aiace” di Ghiannis Ritsos, uno dei più grandi poeti greci del 900, è anche questo un monologo che porto avanti da parecchi anni ormai. La regia è di Graziano Piazza nel frattempo diventato mio marito, artista che stimo tantissimo e con il quale condivido da anni una visione del teatro, oltre che della vita, attraverso la ricerca della Bellezza. Lui ha quindici anni più di me, è un grande attore oltre che regista, ha lavorato con i più grandi da Ronconi a Peter Stein ed ha la peculiarità e il dono di sapersi rendere “invisibile” all’occorrenza. Ha lavorato con me in più occasioni sempre con grande amore, condividendo i “segreti” più intimi della sua esperienza, come uno Chef che condivide i segreti di una ricetta, permettendomi poi di farli miei il che vuol dire anche trasformarli. Non direi “tradirli”, sono una donna fedele, ma direi facendoli evolvere, sì, perché nulla rimane mai fermo, tutto si trasforma, è la vita. A lui devo sicuramente gran parte del mio sviluppo artistico e personale degli ultimi anni. E più cresco e più ci divertiamo a giocare insieme.

Viola Graziosi in “Aiace” – Foto di Giovanna Mangiù

“Aiace” è un monologo al maschile, ovviamente, e quando me lo ha proposto gli ho chiesto se era matto, non mi sentivo all’altezza di interpretare un eroe greco! Ma lui mi ha fatto notare che Ritsos descrive nella didascalia la presenza di una donna sulla porta, che ascolta. Una testimone. E Graziano ha voluto dare a questa donna, me, la possibilità di partire dall’assenza del maschile, dalla mancanza per riportare le gesta dell’eroe fino ad assumerne quasi le sembianze. È quindi una donna che ha perso l’amato e che ripercorrendo le sue gesta, domandandosi il perché di queste folli azioni, di questo “abbandono” che può essere un’altra forma di tradimento, diventa tutt’uno con lui, lo comprende, lo con-prende. La storia di Aiace è quella di un eroe che compie una strage uccidendo degli animali innocenti e, sentendosi preso in giro dagli dei, decide di togliersi la vita come unico atto di libertà. Aiace racconta la storia di un suicidio, ma in questo caso diventa quello di una nascita, della Donna, eroina dei nostri giorni che fa Uno con l’Uomo. E questo è possibile attraverso l’Amore. Anche Penthy ama al punto di voler fare Uno con l’amato, ma lei lo uccide e se lo mangia in un eccesso di furore. Non riesce a contenere la passione altrimenti. Non riesce a lasciarlo andare perché si è perso. Sono due visioni dell’Amore assoluto. Dell’Amore, che vuol dire fare Uno con l’altro. Il tradimento non è possibile. Per questo Penthy lo ingloba a sé. Per Amore.

Anche “Il Racconto dell’ancella” è un ulteriore tassello per la tua indagine sulla donna nella contemporaneità.

“Il Racconto dell’ancella” è nato grazie alla cura e alla sensibilità di Laura Palmieri che mi ha proposto di farne una lettura scenica l’8 marzo scorso per il Teatro di Radio3, in occasione della festa della donna. Era un romanzo che non conoscevo e che ho immediatamente adorato. Così come ho adorato la riduzione drammaturgia che ne ha fatto Loredana Lipperini e che permette di restituire una storia complessa e articolata in un “tempo” che può essere quello di uno spettacolo teatrale. Così dopo la serata in diretta da via Asiago che è andata benissimo ho deciso che questo progetto andava portato avanti! Un tema importante, una scrittura splendida, un racconto abbastanza agghiacciante che per me ha la funzione di una “sveglia”. Questo romanzo, questo racconto distopico descrive una società dove le donne sono suddivise per categorie secondo il colore del vestito e tra queste ci sono le Ancelle, uniche ancora in grado di generare. Il romanzo dell’85 è tornato in voga recentemente grazie alla serie tv di successo che sta andando in onda in Italia da due anni. Ultimamente è diventato un “cult” e le Ancelle sono diventate le icone del movimento femminile. In realtà a me interessa molto parlare della donna nella società contemporanea, ma non appartengo a nessun movimento.


Viola Graziosi in “The Handmaid’s Tale – Foto di Pino Le Pera

Quello che mi colpisce di più nel Racconto dell’Ancella è questa domanda della protagonista che dice: «Che cosa, in quello che stava accadendo, ci dava l’impressione di averlo meritato?». Più che parlare di Uomo e Donna, io credo che sia improntante parlare di Responsabilità Umana. E quello che descrive la Atwood è il fallimento di questa umanità, di cui entrambi, maschi e femmine sono responsabili. Perché il corpo della donna pone ancora così tanti problemi? Perché ci sono ancora così tante disparità, anche da noi in Italia? Trovare “un colpevole” non credo sia la soluzione. Con questo non voglio denigrare i dati allarmanti che riguardano la violenza sulle donne o le disparità tra i due sessi ancora così presenti purtroppo. Ma è un tentativo di andare oltre. I “cattivi” vanno puniti ma non ho mai amato sentirmi una “vittima” a prescindere. Credo che si debba lottare per un po’ più di umanità, di coraggio, di responsabilità. E un po’ meno intransigenza, un po’ meno divisione. Oggi troppo spesso mi sembra che si faccia di tutta un’erba un fascio. Forse è un po’ più complesso di così. Maschio e femmina non sono uguali, non possono essere uguali. Semplicemente dal punto di vista fisico, non lo sono. Ma chiaramente vanno tutelati ugualmente. Uguali diritti. Uguali doveri. Non è semplice. Ma credo che il teatro, la cultura abbiamo una funzione fondamentale nell’incontro con il pubblico: di porci insieme delle domande. Oggi non abbiamo più miti a cui aggrapparci, utopie, speranze. Manca la speranza, sembra che tutto sia fallito. Allora ricominciamo dalla Polis e dal teatro come luogo di incontro per farci delle domande insieme.

La lettura ad alta voce è un aspetto importante del tuo lavoro, come è nata la tua collaborazione con Audible?

Questa è un’avventura incredibile iniziata un paio di anni fa quando una mattina ho telefonato alla Emons, la più importate casa editrice di audiolibri in Italia, semplicemente per avere informazioni. Era una cosa che sognavo di fare da tempo. Da allora è nato un amore, una stima reciproca e ho iniziato a lavorare assiduamente con loro e per Audible, di cui sono collaboratore. Audible è questa piattaforma online dove con un piccolo abbonamento mensile puoi ascoltare un sacco di audiolibri (come Netflix per intenderci). Audible (che appartiene al gruppo Amazon) ha aperto tantissimo il mercato dell’audiolibro in Italia, cosa già molto diffusa all’estero ed è un mondo! Io sono abbonata e sono fan. Perché è comodissimo ascoltare audiolibri mentre guidi, cammini, corri… soprattutto se sono letti da bravi attori! È una cosa diversa dal recitare e non è detto che un bravo attore sia un bravo lettore di audiolibri. Leggere ad alta voce per qualcuno che non ti vede è delicato, perché quello che deve arrivare è l’intenzione dell’autore non il proprio virtuosismo interpretativo. È importante cercare di farsi canale. Aderire totalmente alla scrittura senza pathos, senza fronzoli, con pudore ma permettendo a chi ascolta di seguire ogni passaggio della narrazione, della storia, immaginando i personaggi, le atmosfere… mi viene in mente la parola “densità”. Ogni libro ha una sua densità e se tu che leggi ne metti un po’ di più o un po’ di meno impedisci a chi ascolta di mettere in atto quel processo immaginativo, identificativo che ci accade quando leggiamo un buon libro. Insomma, una bella responsabilità!

Quali autori hai incontrato leggendo per Audible?

In questi anni ho avuto la fortuna di leggere tanti libri di Isabel Allende, scrittrice e donna dalle mille sfaccettature, che ha avuto una vita incredibile. Alcuni romanzi raccontano storie inventate, altri sono più autobiografici. Leggendo così tanti libri di un autore ti sembra di conoscerlo nell’intimo. Sei detentore di un qualche segreto. E poi ho registrato anche tanti libri di autori italiani, mi piacciono moltissimo i thriller e abbiamo grandi autori in Italia come Sandrone Dazieri (ho letto “La trilogia del Padre”), e Maurizio de Giovanni (“Sara al tramonto”), entrambi editi da Mondadori. E un altro libro che ho amato moltissimo è “Resto qui” di Marco Balzano, finalista allo Strega di quest’anno. Un libro con il quale sono entrata in grande sintonia, bellissimo.

Come si “costruisce” una lettura?


Viola Graziosi fotografata da Tommaso Salamina

Il lavoro di registrazione di un audiolibro avviene in team: oltre al lavoro di scelta delle voci e di edizione del testo (e poi alla fine di edizione del file audio), quando arrivo in sala di registrazione ci sono un regista e un fonico, due figure fondamentali e si lavora insieme! Non è una cosa che si prepara molto a casa, anche per evitare appunto di cadere in “virtuosismi interpretativi” e poi preparare un libro intero richiederebbe mesi e mesi. Invece il libro ci arriva pochi giorni prima, ognuno di noi lo legge velocemente e poi si lavora quasi all’impronta. Ci vuole molto allenamento. A volte sembra un atto meditativo, si entra in un flusso… altre volte è un po’ più laborioso. La voce non mente! Ad oggi ho registrato circa venticinque audiolibri e ognuno è stato un’esperienza, un viaggio. E spero di farne sempre di più! È bellissimo leggere ad alta voce per qualcuno che ti ascolta, che ascolterà. Non leggi per te. È come mettere in volume quello che sta sulla carta, con grande rispetto per l’autore e per l’ascoltatore, imparando anch’io a rendermi invisibile. C’è qualcosa nella voce e nell’ascolto che mi commuovono. È una strada che sto esplorando tanto in questi anni. Credo che la voce non menta appunto, così come credo che l’orecchio sia molto sensibile e difficilmente ingannabile. L’occhio invece tende di più alla dispersione o all’incantamento. Sono una cercatrice di Verità!

Articolo di Irene Gianeselli

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