I turisti e i marinai che capitano a Napoli sanno già, o li s’informa in loco, che sopra ai Quartieri Spagnoli non si devono avventurare, perché, se vi si avventurano, immancabilmente sventurano. Un guaio sicuramente, grosso o piccolo lo passeranno: uno scippo, chessò?, un borseggio, il capitare in mezzo a qualche camorristico regolamento di conti, l’essere stuprati dietro qualche portoncino di un vecchio palazzo degradato, l’essere pigliati senza ragione a paccheri, il finire schiacciati e rischiacciati sotto a qualche motorino derubato, l’essere arriffati, l’essere drogati, l’essere dragati, l’essere fatti a pezzettini per andar poi rivenduti a qualche nero mercato di organi o di tratta delle bianche…
Insomma, i turisti e i marinai che capitano a Napoli vengono serviti a dovere, con mille spezie e infingimenti del proibito, affinché quel proibito se lo vadano a gustare e, gustandolo, continuino a portare in giro per il mondo la buona-mala novella che i Quartieri Spagnoli sono proprio quello che da sempre si dice: fetienti. Roba da trogloditi. Da “Zìmberi” o da Zingari. Sostanza ed argomento da quinto e sesto mondo. Dell’altro mondo. O anche di questo se volete, ma basso, bassissimo, semi-equatoriale, ultra-africano, ultra-mediterraneo, Napoletano, va’, e così la diciamo proprio tutta.

Credo, più o meno, che il guaio o i guai passati (e gustati) a Napoli, sopra ai Quartieri Spagnoli, per chi ci va (e ci deve andare, sennò che turista e marinaio è?) siano uguali, più o meno, ai guai passati (e gustati) in qualsiasi luogo della Terra che abbia eletto, al proprio interno, un Luogo Eletto per il Luogo Comune, che poi è, quasi sempre, luogo della Verità, o della semi-verità di un Luogo: perciò le agenzie turistiche ci stanno proprio attente, e mai dimenticano di abbandonare in notiziole e avvertimenti circa il non frequentabile e il non abbordabile di una città: per mettere il turista, o lo straniero di passaggio, per così dire a suo agio rispetto alla filosofica verità (Luogo Comune) del luogo e, nello steso tempo, inserire, nel programma o nel tour, gli opportuni eccitamenti (camuffati da interdizioni) affinché siano di generale, generalissima soddisfazione: per gli indigeni, per i forestieri, per gli operatori tur-industriali.
Detto questo, però, va anche detto che, forse, i Quartieri Spagnoli a Napoli, come Luogo Eletto in loco per il Locale Luogo Comune (o semi-verità relativa), presentano qualche complicazione in più rispetto a qualche altro luogo della Terra che fa, o è costretto a fare, (per turismo si capisce!) la stessa operazione. Che io sappia, per esempio, non esiste qualche letteratura, filosofia, poesia, musica, teatro, costruita sul o relativa al famigerato quartiere di Soho, a Londra, o su quello latino-arabo, a Parigi, o sul Bronx o sulla Spanish Harlem, in New York. Cioè, voglio dire: magari esistono pure, però non certamente con quella costanza, incisività, proprietà e competenza come quelli costruiti o immaginati intorno al Luogo dei Luoghi Comuni di Napoli che sono i Quartieri Spagnoli.
Adesso, è chiaro, non posso in poche righe dar conto della sterminata varietà (e ripetitività) di riflessione, scritta e orale, partorita da tanti esimi intelletti attorno a questo argomento: posso dire si va da Boccaccio a Patroni Griffi, da Croce a Gadamer, Burns a Pasolini, Morante, Sartre, Ortese, Voltaire, Dieterich, Stravinskij, Cimarosa, Debussy, Paisiello, Lulli, Rachmaninov, Tiepolo, Goya, Manet, Bovio, Diderot, Goethe, Callot, Scribe e…via aggiungendo, cioè, complicando.

Con una (intellettuale) compagnia di questo tipo è quasi naturale passare dal Luogo Comune al culto, alla passione, del Luogo Comune stesso, che vien detto mito, ovverosia una sorta di leggenda, una fattispecie di semi-sacralità, che fa della propria verità imbastardita, della propria sfavillante bugia da cartolina, un totem, un feticcio religioso, che tutti, nel bene e nel male, devono omaggiare.
A cominciare da quelli che nel Luogo Eletto del Luogo Comune, in un posto, ci nascono, ci vivono e ci muoiono. È d’obbligo, infatti, per chi vive a Napoli, sui Quartieri Spagnoli, segnarsi in continuazione, farsi in continuazione la croce, anche con la mano storta, dinanzi ai crocicchi, alle viarelle, ai vicoli, alle chiazzette, costituenti i numinosi/criminosi Luoghi che, dal Comune, per unanime testimonianza sono stati eletti a mito; così come non passa turista, o “Xenos”, sotto il Vesuvio, che non senta l’intima necessità di farsi i propri pellegrinaggi ai santuari, ai templi, alle (non tanto) sibilliche pagode/sinagoghe/moschee che decorano l’arco topografico, l’anfiteatro, di strettissime, inquietissime stradine, a ridosso della tagliente hidalguesca Via Toledo.
E, infatti, soprattutto nella (bella?) stagione, dalla “Speranzella” al “Museo”, dalla via Nardones alla “Pignasecca”, da “Montecalvario” ai “Ventaglieri” è tutto un pullular pietoso, a piedi scalzi, mani giunte, capo chino, di oblati e di offerti alle ferite, alle stimmate (e agli stigmi) della “meraviglia loci”, tutto in un esporsi passionale, rassegnato, a quel che capita-capita, al fato o necessità di ciò che detta il Rischio, l’Azzardo, il Degrado. E si sente nell’aria, assieme allo strusciar di sandali, di umili espadrillas, di sofferenti, inermi piedi nudi sul misero, sconnesso acciottolato, il salmodiare chierico dei più “aficionados” che, intonano ancora patetici e disinformati, l’inno calcistico “Maradona è meglio ‘e Pelè”, sperando magari d’intravederlo, oh apparizione, miracolo!, il mitico Pibe, d’in su la vetta dell’irta Spacca-Napoli, mentre, di contro al salmodiare pallonaro, vien su in sottotono, ma dolcissimo, il pino-danielesco canticchiare “Napule è (’na carta sporca)”.
Per non parlare, poi, del sordo mormorio, portato a litania, dei più istrionici e colti, che, cammin facendo, estraggono e citano a caso, a mo’ di preghiera, di versetti da breviario, motti, sentenze e detti, dei più celebri spiriti del Luogo, da Totò a Eduardo, da Troisi ad ‘Austino ‘o pazzo?, da Martone e Corsicato alla mitica pentita da camorra “Cerasella” che, assieme a Nino d’Angelo, com’è noto, rappresenta, dei famigerati Luoghi Comuni-Mito, l’icona di riscatto e palingenesi morale forse più calzante e coinvolgente degli ultimi tempi.

Segni tutti, questi di cui sopra, che se è di senso comune l’acquisizione di ciò che si dice o viene detto fetente, è altrettanto vero, lapalissiano, che, per via delle centomila contaminazioni che questo ‘fetente’ ha trascorso con la cultura, la scrittura e la riflessione (anche aneddotica) in genere esso, è anche un (comune) luogo di Liturgia e di Ritualità dei più profondi e sacri del bacino del Mediterraneo, forse solo un po’ meno antico e misterioso di quello attinente agli egizi. Tra sacro ed insacro (fetente?), si sa, è sempre molto arduo tirare una netta barra di confine, a causa delle infinite infiltrazioni ed osmosi che esistono tra loro, così come è sempre molto arduo, per non dire impossibile, arrivare ad una qualche tesi o conclusione intorno ad un argomento che li veda com-presenti entrambi.
E, sui Quartieri Spagnoli, lo si sarà capito, a mio avviso, bugia e verità, sacro ed insacro, sublime e fetente, criminale ed etico, passato e futuro, riscatto e perdizione, insomma: tutti gli ossimori e contrasti di questo mondo, esistono e procedono intrecciati, avviluppati tra di loro, senza speranza alcuna che un giorno, o qualcuno, possa alchemicamente, illuministicamente, separarli e individuarli singolarmente.
Si dica pure, se si vuole, che questo mio è un discorso poco serio, sommario e, nascostamente, anche “di parte”. Io non so che dire. O non ne so di più. Anche perché, qualsiasi cosa si dica al riguardo, magari è già stata detta tremila volte. Senza contare che è proprio questo “dire” che alimenta e irrobustisce il Luogo Comune e il suo trascolorare, per accumulo ed inerzia della contro verifica, in cronaca epopeica, storia leggendaria, mito imbastardito, pontificale liturgia citazionale che li riguarda tutti.