Il Bifest della pandemia: la scoperta della vicinanza

Un Festival in questo momento ci serve, forse, per capire o, almeno immaginare cosa stiamo diventando e cosa diventeremo dopo la pandemia. Le persone si cercano, ma hanno anche paura. Il Covid19 non è già completamente rimosso dalle coscienze come spesso leggiamo, almeno negli spazi del Bif&st questo appare evidente. Seduti nell’arena Piazza Prefettura (cioè di Piazza Della Libertà, stando alla toponomastica cittadina), una volta raggiunto il proprio posto, la mascherina si potrebbe abbassare perché il distanziamento fisico è assolutamente rispettato, ma in molti la tengono sul viso. E la notte di agosto a Bari è umida.

I fotografi scalpitano: anche sul palco, durante le premiazioni, oltre ai metri di distanza, c’è chi preferisce mantenere la mascherina e loro non ci sono abituati, vogliono volti scoperti. Ma questo non è possibile e, in qualche modo, sarebbe antistorico negare questa realtà.

Simonetta Dellomonaco

E non si tratta di un gesto retorico, questo tenere la mascherina. Né si può raccontare la prima serata di premiazione senza dare testimonianza di questa profonda consapevolezza che è in tutti.

Simonetta Dellomonaco, presidente di Apulia Film Commission, lo dice con chiarezza: direzione artistica, organizzatori tutti hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo per garantire il Festival in questo momento storico. Un momento storico che va affrontato in tutta la sua complessità, accettando anche le limitazioni, pianificando una gestione nuova dei flussi di pubblico e ospiti. Cultura significa anche questo: tutelare il territorio e chi lo abita, permettere ad una regione di crescere.

E crescita non può significare soltanto “far girare l’economia”, crescita significa anche mettere a valore una industria come quella cinematografica con rispetto e responsabilità, andando oltre l’economicismo.

Da sinistra: David Grieco, Felice Laudadio, Gianni Amelio

È un Festival che accetta le distanze, in questa edizione: Pierfrancesco Favino, vincitore del Premio Vittorio Gassman come Miglior attore per i film Hammamet di Gianni Amelio e Il traditore di Marco Bellocchio, saluta la Puglia che gli scorre nelle vene con un videomessaggio. È su un set, non può essere presente per questo: il Covid19 ha modificato le agende di tutti, anche Nicola Piovani, vincitore del Premio Ennio Morricone come Miglior compositore delle musiche dei medesimi film, saluta dallo schermo e fa tenerezza, perché ad un certo punto inciampa in una parola, prosegue il suo discorso con un balbettio genuino che dimostra come perfino in un video si possa rimanere umani, non artefatti e ipocritamente perfetti.

Ricordi: Margarethe von Trotta racconta il primo incontro con Federico Fellini a Roma. Il regista portava un cappello ingombrante, in stile bavarese, che l’aveva spettinato. Per rispetto nei confronti della giovane regista lo toglieva, da vero galantuomo, ma per coprire la chioma scomposta, un po’ vergognoso, lo rimetteva sul capo durante la loro chiacchierata. «Federico mi disse che forse in un’altra vita eravamo stati fratello e sorella o amanti… io non c’ho mai creduto, ma questa idea mi ha sempre fatto piacere. Bello pensare di essere stata sua amica o sorella anche in un’altra vita. Sicuramente sarà così nella prossima…» sorride Von Trotta.

Perfino nel ricordo del pianto del sindaco Antonio Decaro per le saracinesche di Via Argiro abbassate durante il lockdown, c’è qualcosa di genuinamente umano.

Gianni Amelio

E poi, ci sono gli occhi commossi di Gianni Amelio che scatta foto a Luan Amelio Ujkaj, suo figlio, mentre riceve dalle mani della presidente Margarethe von Trotta il Premio Giuseppe Rotunno come Miglior direttore della fotografia, sempre per il suo Hammamet. Anche Ermanno Olmi fece esordire Fabio Olmi nel 1992 come direttore della fotografia per il film Lungo il fiume. Padri che trasmettono ai figli un mestiere artigianale, proprio come accadeva nelle botteghe dei falegnami o dei fabbri: lo ricordava nella sua Laudatio a Morricone, maestro, Nicola Piovani, allievo, sul palco del Teatro Petruzzelli il 27 aprile 2019.

Felice Laudadio spettatore del corto in memoria di Ennio Morricone

E il ricordo di Ennio Morricone – un omaggio attraverso il ricordo della sua presenza all’edizione 2019 – è tutto costruito dai volti e dagli occhi, dalle mani e dalle bocche: in qualche modo, anche la distanza e la perdita ci ricordano l’importanza dei corpi.

Così come lo raccontano i volti di Sordi, ripresi in proiezione su dei lenzuoli stesi, stropicciati e deformanti nel corto Il silenzio di Alberto di Marco Cucurnia che ha così restituito tutta la forza della mimica del viso di questo grande attore: perché le persone sono i loro volti, i loro occhi e le loro bocche.

Luan Amelio Ujkaj e Margarethe von Trotta

Corpi tutti ugualmente importanti, che siano di donne o di uomini, sembra ricordare anche La ragazza con la pistola (1969) di Mario Monicelli, proiettato nell’edizione digitalizzata dalla Cineteca Nazionale di Roma. Una Monica Vitti di spessore, oltremodo poliedrica se si pensa che nel 1968 aveva già lavorato con Michelangelo Antonioni. Dall’onirismo tragico dei suoi primi film a questa commedia sagace, l’attrice emerge con personalità e Monicelli riesce a ritrarre la condizione femminile tra Sicilia e Inghilterra giocando ad inserire sequenze che fanno la parodia alla Tragedia greca, con tanto di coro e prefiche, condensando in una sola battuta, affidata al protagonista maschile interpretato da Carlo Giuffré, tutta l’ipocrisia del maschilismo post-sessantottino. Già nel titolo, in fondo, Monicelli ci costringe con la sua ironia a guardarci ancora oggi: l’emancipazione, di fatto, è tutta ancora da costruire.

Non poteva aprirsi meglio, questo Bif&st 2020, suggerendoci che le nostre vite, dopo questa pandemia, oltre i nostri giorni piccoli piccoli, sono tutte da ricostruire.  

ARTICOLO E FOTO © DI IRENE GIANESELLI

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