Quella di Anna Bonaiuto è una carriera intensa, al cinema come in teatro: da Cecchi a Servillo, e poi da Martone ad Andò. Del film che le è valso anche un David di Donatello nel 1995 come miglior attrice protagonista, L’amore molesto, ricorda “Con Martone ho fatto quattro film e il rapporto è sempre stato di scambio e collaborazione, il suo film forse più importante per me è L’amore molesto mentre Morte di un matematico napoletano è un’opera prima notevolissima proprio perché è fuori da tutti gli schemi. Con lui ho fatto anche Teatro di guerra e un episodio de I Vesuviani”.
È Adele in Napoli velata di Özpetek e questa donna per lei è un personaggio che “Non vuole cadere nonostante il dolore, il senso di colpa e la sofferenza, che non vuole entrare nella depressione. È una donna forte piena di vitalità, che non si lascia abbattere dalle tragedie della vita: è una combattente, una donna che non si rassegna”.
Quando racconta di Napoli, la città che l’ha sempre vista protagonista di storie importanti dice “Con Napoli ho un rapporto particolare, è una città dove io non ho mai vissuto però è la città di mio padre e dalle radici non ci si stacca mai, c’è sempre qualcosa che ti riguarda”.
È una città, oltre che di cinema, di teatro. Lo dimostra la sua esperienza eduardiana di Sabato, domenica e lunedì con Toni Servillo.

È stata forse una delle esperienze più belle della mia vita teatrale, uno spettacolo che portammo in giro per tre anni: era un modo assolutamente nuovo di fare Eduardo, senza il tradimento dell’autore ma rendendolo contemporaneo come dovrebbe essere il teatro; senza andare a violentare il testo e teatralmente il rapporto con Servillo – con cui abbiamo fatto quattro spettacoli – è stato un rapporto importante. C’è sempre questa cosa napoletana che ritorna… questo film per cui vengo premiata a Bari (Napoli velata, ndr), il film di Özpetek, è completamente diverso dagli altri. C’è tutta un’altra opinione di Napoli. Ne l’amore molesto c’è una visione realistica non estetica di Napoli, quel film era proprio sulla sofferenza della città in quegli anni. Napoli velata è il film di uno che non è napoletano, che viene dalla Turchia e che sente delle affinità con Napoli… questo mondo di mare, di misteri, di luce sul mare che lo ha intrigato per cui ci offre una visione più isterica, più pagana… tutte quelle cose che magari per i napoletani sono normali: certi luoghi, certe bellezze, viste da questo regista, “viste da fuori” sono restituite con questa potenza.
Ma Özpetek non risolve il mistero di Napoli.
No, questo è il suo essere regista: ama non dare risposte e le lascia al pubblico che sceglie di capire come finisce la storia… a seconda della persona che lo vede c’è un finale, questo è interessante: lascia tutto sospeso. Del resto vede sospesa Napoli, velata appunto, che non si fa scoprire completamente.
Qual è, per lei, il mistero più grande di Napoli?

Il suo mistero è il fatto l’essere una città che continuamente viene letta in modi diversi. È una città che non finiremo mai di capire fino in fondo. Nella sua natura ha visto culture di tutti i tipi arrivare, ben prima dei greci, ha delle sovrapposizioni, delle stratificazioni, ogni popolo ha portato qualcosa di diverso, poi le cose si sono intrecciate… anche il culto di San Gennaro è pagano, questo sangue che si scioglie. Questo popolo concreto ha bisogno di credere in qualche cosa di soprannaturale, è una città difficile da comprendere ma affascinante anche per questo.
Riesce a vedere un filo rosso tra le donne che ha interpretato?
Beh, grazie a Dio sono diverse perché il compito dell’attore è di non fare se stesso ma fare altro: il divertimento dell’attore è entrare in altri corpi e in altri pensieri. Il filo rosso può essere il fatto che sono personaggi forti, un po’ conflittuali, non consolatori, non sottomessi.
A proposito delle voci di donna. Lei ha dato la voce ad Elena Ferrante. Com’è stata questa esperienza?

Per L’amore molesto leggemmo proprio il primo libro di Elena Ferrante, nessuno la conosceva: una storia straordinaria e anche quella anomala, molto forte, molto tragica. Da lì è nato questo “rapporto” per cui ho inciso un audiolibro della sua tetralogia, tra un po’ uscirà anche l’audiolibro de L’amore molesto. Faccio spesso letture in giro, la gente me lo chiede per cui mi hanno incaricato di dare voce a questo mistero. Ultimamente ho dato anche la voce a Maria Callas in questo stupendo documentario Maria by Callas. Quindi ecco il filo rosso: sempre personaggi forti e contrastati e questo è chiaro che mi piace.
Anche l’amore, quello non romanzato ma restituito nella sua complessità è un filo rosso?
Sì, certo. L’amore molto concreto, quello visto da donne che non vogliono sottomettersi e questo naturalmente porta a dei conflitti, a dei problemi, a difficoltà di comprensione come succede a tutte le donne che sono nate nel periodo in cui ci si liberava da figure materne un po’ sottomesse.
Tornando al cinema, un esempio concreto di questa complessità è il personaggio della moglie di Andreotti ne Il Divo di Paolo Sorrentino.
È un personaggio che permette di leggere quello del Divo al di là della politica, della maschera, del diabolico… grazie a questi dialoghi si può vederne un altro lato. Lei è forse l’unica persona che non ha paura di lui e che dice le cose che deve dire e che lo guarda anche come pensando al fatto che non sa chi è quest’uomo.
E in parte questa dignità di donna è presente anche nel personaggio morettiano che lei interpreta ne Il Caimano.

Sì, ispirato alla Boccassini che è una delle donne più straordinarie che abbiamo in Italia: non compare mai sui giornali, è una donna che incarna il concetto della giustizia e della determinazione senza compromessi. Moretti che era venuto spesso a vedermi a teatro mi ha proposto il ruolo dicendomi “C’è questa cosa piccola ma fondamentale in questo film”. E aveva ragione.
Giusto per fare un gioco, al Festival tra i film di Ferreri c’è un titolo che fa al al caso nostro: Il futuro è donna. Il futuro è donna nel cinema e nel teatro secondo lei?
Io lo spero. Quel titolo in effetti era molto coraggioso all’epoca e anche oggi… l’apporto delle donne è talmente evidente, ma… le donne hanno una marcia in più: perché non hanno mai usato il potere, ma hanno vissuto la parte materna, concreta e arrivare a dire che la donna ha anche un pensiero è una grossa conquista, sembrava impossibile non molti anni fa. Ora c’è tutta questa rivolta per un costume che è durissimo a morire, la storia è molto complessa perché ci sono donne che non sono uscite da questo comportamento per storie familiari, per questo appiattimento della società, questo annullamento del pensiero, della libertà e della dignità. È una situazione complessa.
È difficile essere donna oggi, a teatro, nel cinema e nella società?

Si, è difficile su questo non ci sono dubbi, perché quando i maschi si sono accorti che le donne possono fare qualsiasi lavoro e che quando lo fanno c’è qualcosa di più, è chiaro che è cominciata la guerra. È molto più difficile per un maschio cambiare che per una donna, la donna è già cambiata: dallo zero e dal buio in cui era confinata ha deciso di esistere. Questo per l’uomo è un terremoto. Non voglio generalizzare, non tutte le donne sono uguali, non tutti gli uomini sono uguali, altrimenti diventa un discorso banale e non lo è… ma è chiaro che l’uomo si è dovuto difendere da questa nuova apparizione che è la donna. Anche in teatro i ruoli più importanti sono quelli degli uomini, latin lover anche dopo i settant’anni… le donne al di fuori della sfera del sesso, della giovinezza, della seduzione… a un certo punto non sono più interessanti. Questo non succede in altri paesi del mondo, dove ti scrivono dei ruoli femminili forti: pensa a Tre manifesti a Ebbing, Missouri dove un’attrice non bella, non seduttiva, non affascinante fa un personaggio di dimensioni gigantesche… però il ruolo deve essere scritto da qualcuno che crede che scrivere storie di donne sia un valore aggiunto, a volte siamo noi che siamo per le cose più banali. Le donne per raggiungere qualcosa devono dimostrare di più di quello che dimostrano gli uomini, quindi la fatica è più grande, una cosa che ci spetta diventa una fatica perché bisogna lottare.
Dobbiamo toglierci il velo, come Napoli?
Sì, certo.
ARTICOLO* DI IRENE GIANESELLI
*Quest’articolo è stato pubblicato in una prima versione su Globalist.it il 25 aprile 2018