La scena è vuota. Un foglio bianco che ha le dimensioni di un lenzuolo sullo sfondo a fare da quinta. Dietro questo lenzuolo, che col suo nitore risplende e seduce, al limite dell’ipnosi, sta l’attore in attesa. E questa attesa, quando poi l’attore supera il bianco portando la sua luce oltre il confine, quest’attesa si trasforma nella presenza di Andrea Renzi che filtra il personaggio di un uomo nell’atto del narrare.
Da cosa viene quest’uomo? Cosa ha visto? Cosa ha lasciato alle sue spalle, oltre quel lenzuolo bianco che è un foglio tutto da scrivere?
L’uomo comincia a raccontare e pare quasi, per il rapporto intenso che subito si crea tra chi abita il palco e abita la platea, che continui un discorso lasciato in sospeso, che ritorni in una storia (e nella Storia) di cui lo spettatore, nella sua più intima tenerezza, stava – ancora – in attesa.
Non c’è il dipanarsi delle ombre come nel farsi carne di un sogno o di una memoria di sogno. Ma nel tessuto denso dell’ombra, il ricordo si fa materico e il talento di Renzi è proprio quello di riuscire a trasmettere il senso della memoria nel qui e ora.
L’uomo adulto che racconta di Tonino bambino e ragazzo non è un narratore onnisciente – di quelli distaccati e saccenti, sornioni e un poco arroganti ai quali lo storytelling ha cercato (invano) di farci abituare – ma è quell’io, proprio quel sé in cerca della essenza sua che si guarda, meglio che si ri-guarda (e ci riguarda), crescere, che problematizza l’infanzia e i suoi miti.
Lì, nei primi sguardi, nelle prime perdite e conquiste, Raffaele La Capria con la sua prosa morbida radica questo corpo-mente teoretica di piccolo Amleto che è Tonino.
Oggi, il Teatro italiano rinuncia spesso alla parola. La stupra e la martirizza, la sussurra quasi senza fiato. Predilige la spinta performativa (rinunciando a quella fisiologica performatica) inseguendo la moda della voce modulata dal microfono, della voce fuori scena artefatta, delle installazioni video costruendo una cross-medialità fittizia e anti-teatrale.
Lo stupore, ne La neve del Vesuvio, è nella sapiente messinscena di Andrea Renzi che è regista, ma lo è in virtù del suo essere Attore: del suo sapere usare la voce con il corpo nello spazio e in relazione con il pubblico. Un foglio bianco posato sulla spalla è il volo del canarino, la potenza del pensiero e dell’immaginazione che diventa atto. I racconti di La Capria trovano carne e voce, riescono a staccarsi dalla pagina e dall’inchiostro con una levità impressionante e anche inaspettata alla prova della lettura.
Il pianto ondoso, l’entusiasmo del ragazzino, lo sforzo del comprendere e il desiderio di capire, Renzi rende tutto questo senza artificialità, con una chiarezza che è il riflesso di una riflessione sul dovere dell’attore contemporaneo che è ormai necessaria. Una riflessione che investe il ruolo etico-politico del teatro e della poesia, e che coincide con la fatica di La Capria di rendere inequivocabile lo slancio antifascista: la sacralità delle parole è il cuore di questa riflessione che passa attraverso l’azione della scena. Il foglio bianco usato da Renzi è il correlativo oggettivo del nitore stilistico dello scrittore, ma anche della neve che non compare mai e rimane come una promessa.
Così anche la memoria di morte fino alla presa di coscienza dell’inconsistenza del rapporto tra individuo e Storia passano attraverso un gesto. Prima dell’intonazione viene la parola e prima della parola c’è il senso di ciò che si vuole esprimere. La libertà dell’attore non è impossibile, quindi, quando si gioca con consapevolezza e quando, soprattutto, si porta in scena ciò che corrisponde ad una propria scelta intellettuale che viene prima, che è perciò costitutiva.
Le parole, però, ci avverte La Capria attraverso Renzi possono essere pericolose (come il gioco quando si fa guidare dalle mode e da altri fattori esterni che non hanno nulla a che fare con la poetica). Le parole possono essere pericolose se vengono prima della verità della vita. Se vengono prima dell’umanità che le esprime. Chi dà nome alle cose? L’uomo o il suo conformismo?
#Chièdiscena dal 16 al 17 novembre 2019, Teatro Civico 14, Caserta
di Raffaele La Capria
Adattamento teatrale e regia Andrea Renzi
Produzione Teatri Uniti – Teatro Stabile di Napoli – Teatro nazionale