Se dovessimo guardare al nostro tempo a partire dagli spettacoli, dai libri e dai film, dai progetti culturali, dovremmo dire che il nostro è un tempo sospeso, di transizione.
Sì, sospeso tra la consapevolezza di quello che stiamo diventando e la disperazione per quello che stiamo scegliendo di perdere (spesso definitivamente). Come donne e come uomini che appartengono a questo mondo.
Enrico Ianniello dieci anni fa traduceva in lingua napoletana Conversaciones con mamà, la drammaturgia che il catalano Jordi Galceran ha composto dopo e a partire dal film del 2004 dell’argentino Santiago Carlos Ovès.

“In realtà non ho mai pensato come collocarmi all’interno della storia drammaturgica napoletana. Ho scoperto che ho sempre fatto un Teatro di testo, un lavoro di collisione, facendo incontrare cose molto lontane tra di loro, cercando in questa collisione atomico-testuale di far venir fuori una terza via” spiega Ianniello oggi. “Ci sono più orizzonti che si incontrano anche in questo lavoro: dalla lingua catalana, al contesto argentino fino alla resa per cui il testo sembra davvero essere nato a Napoli” aggiunge l’attore.
Questo processo comporta che la sospensione abbia una sua densità specifica. C’è poco da fare: Eduardo con la sua eredità – a volte tradita, a volte considerata ingombrante – si ritrova nei giochi tra i due personaggi, in quei silenzi e in quelle occhiate cariche di sentimenti, in quella tazza di brodo di pollo (mica vegetale) perché “Giacumì, la gallina costa troppo assai a Mammà!”. In quei silenzi di figlio dagli occhi grandi e smarriti come quelli della figlia di Mia famiglia.
Mammà ha un po’ della forza di Filumena Marturano, c’è nel suo passato una infermiera (Addolorata) colle sue siringhe galeotte, quel “Posa ‘a rosa” diventa una particella atmosferica, viaggia tra i fiati dei due attori in scena. Però Mammà ha anche la disillusione ironica, a tratti beffarda, di certi personaggi di Ruccello e Moscato, capaci di guardare all’amore con l’orgoglio eretico di chi lotta per non farsi devastare dalle imposizioni sociali.
Viene da chiedersi se non sia la lingua, nel caso napoletano, a fare il Teatro. Se non venga davvero prima delle cose la lingua, con il suo costrutto e la sua rapidità espressiva, tanto è forte e potente un suono nell’evocare un immaginario che si sposta verso la verticale dei panni stesi ad asciugare e lungo la parallela che conduce per i vicoli, per i bassi vocianti. E non si tratta di un luogo comune, in questo caso. Giacomino e Mammà si trovano in bocca una lingua universale, piena, efficace e penetrante. Esplosiva. Talmente esplosiva che il sangue non cola, stagna e svuota le vene di queste coscienze postmoderne in transito.
Eduardo, dunque, e la sua eredità difficile da sostenere.

“Per me è come se stessi costruendo un edificio drammaturgico italo-iberico per cui tu puoi veramente immaginare che al primo piano del palazzo ci sia il Professore de I giocatori, al secondo piano ci siano Giacomino con Mammà e sopra abitino i personaggi di Chiòve” e l’edificio di cui Ianniello parla è un edificio solido, dalle pareti robuste, come le fondamenta. Talmente robuste che quando Mammà entra in scena e chiama “Donna Rosa, Donna Rosa” noi pensiamo che dirimpetto si affacci la famiglia Priore al completo, Peppino, Rocchetiello e tutti gli altri.
Ma Donna Rosa, per ammissione della stessa Mammà, non risponde al richiamo.
C’è, nella regia di Ianniello, una forte cura del dettaglio e il ritorno di elementi topici di altre messinscene. Dalle luci intermittenti, alla vetrata che mostra la terrazza (anche in questo caso, i Priore c’entrano: una vetrata era presente nella scenografia del Sabato, domenica e lunedì di Toni Servillo e ripreso da Sorrentino), passando per il muro che si fa velo fino alla sigaretta che Giacomino fuma nevroticamente. “Mi piace un elemento verticale che rompe la scena a un certo punto e che inquadra l’attore in uno spazio che sembra proteggerlo ma in realtà ci racconta la desolazione di quel personaggio che se esce da quel quadrato non ha più nulla attorno. Il personaggio all’interno di quel quadrato racconta, vive, veicola opinioni e idee ma ha paura di fare un passo fuori da quel quadrato. Non mi piacciono le uscite in quinta – racconta Ianniello – quanto alla sigaretta, per Giacomino è una nevrosi, ma volendo giocare, giusto giocare coi simboli, quella sigaretta rappresenta il fatto che dalla sua bocca esce solo fumo. Giacomino non è più capace di fare uscire dalla bocca qualcosa di concreto come una vera idea alla quale aggrapparsi ma fumo, fumo, fumo”.
Nella sua regia, Ianniello posa lo sguardo sui richiami mancati. E Giacomino non è un novello Peter Pan, non è nemmeno Amleto. Giacomino è veramente il “prototipo dell’uomo comune” di oggi. Nelle stanze piene di vita vissuta e sudata da Mammà, rimbomba il vuoto di un’ampia stanza interiore in cui gli oggetti (mobili e soprammobili ammassati nell’ansia di comprare e di avere quello che si teme di non avere) sono tutti coperti da uno spesso strato di polvere. È la polvere del mondo che si agita fuori, un mondo che corre sfaldandosi nel dettato del possesso ma che compie violenze e devasta le anime più sensibili alle lusinghe del conformismo. Un mondo senza valori, senza etica né morale.
Giacomino non è fragile, non è nemmeno sconfitto. Giacomino è consapevole, profondamente, di quello che sta diventando. Del fallimento di quel ventenne che era, del fallimento del cinquantenne che è: ora è il nuovo compagno di Mammà (lei ottantenne, lui sessantacinquenne) a ricordargli cosa significa manifestare, ribellarsi all’ingiustizia sociale. Giacomino è solo. Proprio come Gregorio, proprio come Mammà.
“C’è stata una grande complicità anche se all’interno di due modi generazionalmente diversi di fare il Teatro. Secondo me io e Isa Danieli siamo riusciti a tenerli come una forza unica: non si scontrano questi due modi, ma fanno un racconto vero di una mamma ottantenne (lei è veramente ottantenne) e di un figlio cinquantenne come me. Isa Danieli – prosegue Ianniello – è una persona con una enorme disciplina teatrale, è molto precisa, molto corretta, molto attenta al rispetto delle indicazioni, non dico del regista perché suonerebbe presuntuoso da parte mia, ma di quello che si è deciso insieme di fare. Trovo che Isa porti in scena una cosa eccezionale che non si può recitare: è la propria storia. Tu lo vedi in tutto quello che fa, che dice, nei gesti, come muove gli occhi, come muove il mento quando è arrabbiata: in lei c’è una stratificazione”.

E davvero, Isa Danieli regala una interpretazione stratificata per cui nella sua voce pastosa e ricca di risonanze, si compiono tutte le tensioni del testo. In lei vediamo la sfacciataggine dei maestri, quando si rivolgono agli allievi e indicano loro come tenere alta la testa, come tenersi fuori dal buio, come conservare il senso inafferrabile del gioco. In lei vediamo l’ironia dei maestri saggi, che conservano quella tristezza e quella sofferenza perché hanno il talento magnifico dell’elevarsi al di sopra di qualsiasi tradimento. Perché, in fondo, i maestri tutto perdonano anche se non vengono perdonati: proprio come succede ai genitori con i figli e ai figli con i genitori. E Ianniello sta con lei, si intona a Isa Danieli mantenendo tutta la frustrazione del personaggio, insieme riescono a restituire la carne verace di una napoletanità che diventa metafora di veridicità. Sono vere le cose che si tengono tra le mani. Le loro interpretazioni non sono statiche, i due attori sono davvero testimoni di uno scambio generazionale che allude a molto più di quello che mostra.
Se dovessimo guardare al nostro tempo a partire da questo spettacolo e da molti incontri, noteremmo che vediamo spesso in scena e tra le pagine dei copioni un tentativo costante di dialogare con i morti. “Ho pensato a Madre e figlio di Sokurov e a Solaris di Tarkovskij. Ad un incontro impossibile che per una strana congiunzione di forze, diventa reale. Ma in realtà io credo sempre che questa ricerca di dialogo sia legata all’esigenza dei vivi di parlare con una parte di se stessi che hanno perduto” replica l’attore.
E forse siamo tutti Giacomino. Siamo tutti alla ricerca di una voce altra che ci dica di riprendere il nostro posto nel mondo, di cambiarlo, sì, ma perché noi stessi ci siamo decisi a cambiare. Forse è vero, come Giacomino siamo tutti segretamente disperati, venditori e compratori di fumo: noi che non sappiamo più, come invece sapevano le donne e gli uomini di poche generazioni fa, che le cose sono molto più semplici di come le si complica. E che dire è già trasformare e modificare la realtà.

Questo spettacolo si chiude con una dissolvenza a nero, con un tuffo nel buio, uno stacco tagliente, senza filtri. Siamo oltre la difficoltà della comunicazione, oltre la fatica dei superstiti di Napoli milionaria!, perché nelle nostre vite ci troviamo in un momento in cui dire qualcosa è sempre più un atto infecondo. Lo vediamo sui social, quanto vano sia commentare e discutere. Lo vediamo nella vita, dove saltano continuamente i nessi di causa-effetto e dove ascoltare è diventata una fragilità.
Ma c’è una cosa che Giacomino e Mammà ci dice nel mostrarci un uomo solo che si cerca bambino: che forse adesso dire una cosa è ancora importante. Una cosa sola, che a dirla ora può portarci lontano, ma che a dirla poi, davvero sarà solo un farla rimbalzare nel buio come un richiamo perduto. E questa cosa è proprio semplice: le crisi sono fatte per essere superate. Vivere nascondendosi dietro il male del mondo, l’ingiustizia del sistema e tutti i luoghi comuni con cui ci stiamo abituando a rassegnarci alla disperazione, al martirio, non ha nessun significato. E allora, questa nottata, la dobbiamo fare passare o no? Con questa guerra, vogliamo farla finita, o no?
#Chièdiscena dal 10 al 12 maggio 2019, Teatro Gerolamo, Milano
Giacomino e Mammà di Santiago Carlos Ovès / Jordi Galceran
Traduzione e regia: Enrico Ianniello
con Isa Danieli e Enrico Ianniello
Scene e costumi: Barbara Bessi
Luci: Lucio Sabatino
Suono: Daghi Rondanini
Aiuto regia: Costanza Boccardi
Direzione tecnica: Lello Becchimanzi
Direzione di scena: Gigi Gregorio Esposito
Sarta: Federica Del Gaudio
Assistente di produzione: Clarissa Curti
Foto di scena: Francesco Cataldo
Ufficio stampa: Renato Rizzardi
Produzione Teatri Uniti