Il 24 settembre 2021 il Bif&st è l’occasione per inaugurare il Teatro Kursaal Santalucia con Ennio, il documentario di Giuseppe Tornatore dedicato al Maestro Ennio Morricone. Dal 25 settembre al 2 ottobre il Festival porterà il Cinema nel capoluogo pugliese.
La musica si deve prima pensare, Ennio Morricone lo dice guardando in macchina prima di chiudere il dialogo con Giuseppe Tornatore che firma il documentario Ennio con estremo garbo e con misura, nascosto dietro il suo amore per il Cinema, capace di non celebrare se stesso, ma dedito e devoto davvero, con onestà, fino all’ultima inquadratura al Maestro del quale racconta la storia. Il documentario contiene una citazione di Nuovo Cinema Paradiso, i baci, quei baci, e in qualche modo è l’evoluzione della riflessione meta-cinematografica che pervade la sua prima opera: Tornatore usa le sequenze dei grandi film che portano il suono di Morricone proprio per fare da contrappunto alla sua carriera.

E contrappunto è la chiave della musica di Morricone. E suono è il mistero di quella pagina bianca che si riempie di mordenti e alterazioni, di note e di armonia, di melodie straordinarie ma sempre sminuite dallo stesso compositore che ha cambiato la storia del Cinema entrando e assorbendo la Storia.
Sì, tutto comincia dal suono, il principio è il suono e Morricone lo ha sempre cercato, amplificato, trattenuto e restituito con la genialità dell’artigiano rinascimentale nel corpo di un uomo che ha attraversato il 1900 rivoluzionando fino all’ultimo respiro il primo ventennio del 2000.
Morricone è l’unico ad aver fatto incontrare prosa e poesia dice Bertolucci con la sua voce delicata e profonda e poi accenna il tema di Romanzo, il tema principale del suo grande capolavoro Novecento.
Quentin Tarantino, iperbolico ma sincero, lo considera già grande come Mozart o Beethoven, tra l’altro citati proprio da Morricone rispettivamente negli arrangiamenti di Ciribiribin e Voce ‘e notte (cantata da Miranda Martino).
È una sapiente opera di cucito che Tornatore fa mettendo insieme materiali d’archivio e testimonianze: da Montaldo a Bellocchio, da Argento e i Taviani a Verdone poi ancora Barry Levinson, Roland Joffè, Oliver Stone, Bruce Springsteen e i compositori Nicola Piovani, Hans Zimmer e il chitarrista Pat Metheny.
Tornatore insegue il genio, l’invenzione che ha rivoluzionato il Western fino a cambiare anche il modo di lavorare sul set di Sergio Leone che faceva recitare gli attori con la musica in presa diretta, come fosse un’altra interprete o uno dei personaggi in scena, perché la musica di Morricone è il Cinema ed è la vita: tutti i compositori che ha studiato sono rimasti con lui e hanno creato la sua coscienza di artista. Da Palestrina e Bach allo Stravinskij de “La Sinfonia di Salmi” che emerge nella sinfonia “L’ultima diligenza” che Morricone ha composto per “The Hateful Eight” di Tarantino riscattando così quel genere Western per il quale si sentiva quasi un mercenario (anche se il fischio, la campana, l’armonica e il coyote fanno ormai parte della coscienza collettiva quasi quanto la parola scenica di Giuseppe Verdi), perché il talento di Morricone è proprio questo: il suono va oltre la materia, è affabulazione, è scultura e movimento, nella dinamica c’è il sentimento scolpito nella posa plastica un istante prima che il flusso torni ad essere inafferrabile.

E si commuove con grazia Morricone quando ci dice che non sa davvero cosa sta cercando nell’affrontare lo spartito e le in-finite possibilità di combinare le note. Gli trema la voce proprio come quando all’inizio di questo dialogo ha ricordato il padre che lo ha spinto a studiare per suonare la tromba e gli ha insegnato la chiave di violino. Morricone si è commosso anche ripensando il primo rapporto difficile con il solfeggio e l’iniziale difficoltà della classe e del Maestro ad accettarlo nel gruppo di composizione. E gli occhi, quei grandi occhi scuri dietro le lenti spesse, sono tornati lucidi nel riportare alla memoria il pianto di gioia condiviso proprio con quello stesso Maestro, Goffredo Petrassi, che lo portò al diploma e celebrò con le lacrime il successo dell’allievo che lo riaccompagnava sulla strada di casa. Ennio Morricone ha il talento di commuoversi, come gli accadde alla proiezione di “Mission”, si commuove soprattutto nell’evocare la colpa che tutta l’Accademia del tempo gli imputò: lui, cresciuto al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, aveva tradito una scuola prestandosi al Cinema, alle canzoni (i 45 giri più “commerciali” e i 35 giri più ricercati).

Ma Ennio Morricone ha cambiato la musica dando finalmente una dignità agli arrangiamenti per le canzoni e alla composizione per il Cinema, è stato un innovatore e allo stesso tempo ha portato con sé i grandi Maestri. In lui convivono Bela Bartók e Chopin, ha anticipato i minimalisti e ha conservato la tensione e la solennità dei canti più ancestrali.
Conosceva le regole, Ennio Morricone, e viene così difficile coniugare i verbi al passato perché vorremmo saperlo ancora nel suo studio, lì, che sente la musica e la vive con tutto il corpo, come un atleta o un rapsodo, lui che ha trovato il perfetto equilibrio tra apollineo e dionisiaco e per questo, sacerdote laico di una religione segreta, ha sempre saputo conservarsi uomo onesto senza cedere alle lusinghe dei mediocri.
Si alza il pubblico al termine della proiezione, come avevano fatto, invitati da Felice Laudadio (direttore del Festival), gli operai che hanno restituito alla città di Bari il Kursaal Santalucia. Ma viene da chiedersi, con una punta di amarezza, complice l’ubriacatura di suoni e inquadrature e movimenti di macchina a cui ci ha condotto con la sua dolcezza abile Tornatore (si sa, no, che solo i matti e gli ubriachi sanno dire esattamente quello che pensano?), se davvero ci meritiamo tutta questa meraviglia, la meraviglia di ascoltare un Maestro che sa spiegare con estrema chiarezza segreti di armonia che nelle aule di un Conservatorio possono restare incomprensibili. Ci chiediamo se davvero ce lo meritiamo questo Cinema e quella sapienza che tende a nascondersi anche quando crea capolavori.

E allora l’ultimo grande segreto che il Maestro Morricone regala nel documentario ve lo passiamo come antidoto al nostro tempo direttamente dalle sue mani che dirigono e sentono tutto senza bisogno di guardare una tastiera: il silenzio.