
Pierfranco Bianchetti firma un interessante e abbastanza puntuale compendio che analizza volti e numeri, date e interpretazioni femminili con L’altra metà del pianeta Cinema. Cento donne sul grande schermo (Aiep Editore, 2021).
Il titolo lascia trapelare una certa ironia: la donna nel Cinema è sempre stata oggetto, corpo osservato e desiderato, temuto e spesso, nel corso della Storia, anche stereotipato per renderlo più controllabile. Ma le donne sono un pianeta autonomo, non sono la metà di quello maschile per quanto questo abbia cercato di costruirne forma e pensieri secondo la propria convenienza. Forse non dovrebbe esistere un Cinema delle donne ed un Cinema degli uomini, dovrebbe esistere un Cinema fatto per le cose umane e per l’umanità. Ma restiamo con i piedi per terra: le donne non possono vivere la professione come viene vissuta dagli uomini. Ancora oggi le donne dietro la cinepresa sono meno degli uomini, le attrici e le lavoratrici non hanno lo stesso salario e ci sono registe che non hanno potuto firmare nemmeno il proprio esordio in locandina. È ancora e sempre questione di potere che viene negato (anche se, diciamocelo, una donna sottomessa, fino in fondo non è mai esistita: anche la sottomissione può essere una forma di potere, che al maschio piaccia o meno e se la struttura del potere maschile è ancora così solida, lo si deve ad una certa complicità femminile).
Ma cosa ne sarebbe della narrazione maschile se non avesse le sue muse da guardare e temere, da desiderare e censurare?

Bianchetti è ben consapevole di tutte queste dinamiche, certo complesse e difficili da trattare in poche pagine o in un articolo, e infatti attraversando la Storia del Cinema (da Milano all’Argentina, dall’America alla Francia) non può fare a meno di analizzare “Le donne secondo Antonioni” e “Le donne secondo Woody Allen” dopo averci fatto incontrare le cento protagoniste che da dive o da intellettuali hanno affrontato il ruolo di attrice. Perché anche essere attrice, in una industria che tende ad essere maschilista, è un ruolo da sostenere. Ancora più coraggiose (che disagio nel doverlo sottolineare, visto che chi scrive è una donna) sono le registe che impongono il proprio sguardo, la propria poetica e la propria narrazione: Bianchetti ne riesce ad individuare dieci nel capitolo 8, Donne dietro la macchina da presa, ma ne manca giusto qualcuna, come ad esempio Jane Campion e Alice Rohrwacher.
La trattazione procede rapida, con uno stile divulgativo, ricca di riferimenti anche iconografici ed è un ottimo punto di partenza per cominciare a porsi una serie di domande radicali e (pure impietose) sul sistema cinematografico e sulla nostra società. L’idea che possano essere definite critica, recitazione o narrazione “al femminile” solo perché a scrivere, dirigere è interpretare c’è una donna è davvero un segno di emancipazione o le donne vengono ancora viste come una specie di minoranza da tollerare e sopportare? E, soprattutto, davvero noi donne vogliamo essere uguali agli uomini?

Siamo diversi e sta qui tutta la nostra ricchezza, riconoscerla, permetterle di esprimersi e custodirla ci renderebbe più liberi, più onesti e anche più felici. Certo c’è ciò che vorremmo uguale, identico tra donne e uomini: i diritti, i doveri, i salari, le tutele e il rispetto in ogni ambito e in qualunque contesto, la possibilità di esprimerci e di dire la nostra senza essere guardate come curiosi, folli animaletti in via d’estinzione che si affannano a chiedere un boccone.
Forse, quando finalmente questa società (e quindi il Cinema) si accorgerà che il Diverso è la chiave per avere accesso all’infinito e che donne e uomini possono fare immense cose insieme, senza per forza cercare di imporre un potere l’uno sull’altra e viceversa, forse solo allora saremo degni di questo pianeta. E di chiamarci uomini, e di chiamarci donne, di dirci umani, liberi di essere ciò che desideriamo (anche e soprattutto nella professione che scegliamo) senza avere l’obbligo morale di chiedere il permesso a qualcun altro.