Conversazioni al presente: la Liturgia per Hildegard von Bingen di Ilaria Gerbella

Conversazioni al presente sono incontri pensati per avvicinare lettori e lavoratori dello spettacolo, per vivere insieme il qui e ora oltre le sofferenze e le costrizioni, le mancanze e le privazioni. Riflettere sul tempo presente apre le porte al futuro, è un’occasione di studio.

Ilaria Gerbella è nata il 4 luglio 1966 a Parma dove ha fondato Europa Teatri per il quale lavora come regista, drammaturga, scenografa dopo la collaborazione con Il Teatro dello Spillo e gli studi all’Istituto Statale d’Arte e al DAMS presso l’Università di Bologna. All’interno del Teatro Europa realizza spettacoli e contribuisce all’organizzazione di rassegne. Si occupa inoltre della formazione teatrale dedicandosi anche all’infanzia, agli anziani e alle persone portatrici di disagio psichico. La sua formazione annovera seminari e laboratori con maestri della scena nazionale e internazionale dal teatro alla performance, al linguaggio video. L’incontro con il teatro ragazzi la porterà a produrre anche per i più piccoli come regista e drammaturga. Tra i suoi lavori ricordiamo Le Aorgiche, Fragalà l’eccido di Melissa. Tra storia e leggenda e Liturgia per Hildegard, la drammaturgia della parola del quale ci racconta.

«Hildegard nasce da sola in me. È un progetto di tantissimi anni fa. Ho letto moltissimo su di lei, ma non ho mai avuto il coraggio di avventurarmi in una messa in scena in cui raccontare e raccontarmi. Ci sono aspetti nel suo pensare e nel suo immaginare che risuonavano e continuano a risuonare in me – spiega Ilaria Gerbella – ma grazie a incontri straordinari con persone straordinarie è nato lo spettacolo e in seguito un progetto ad ampio respiro, Amanti guerriere. Con questo progetto desideriamo approfondire il tema del misticismo femminile abbracciando un periodo storico che parte dal Medioevo per approdare ai giorni nostri. Le figure femminili di Amanti Guerriere percorrono la Storia e ci raccontano di una realtà che le congiunge alla loro anima e al divino in una visione sacra della vita. Sette sono le mistiche medioevali su cui Amanti Guerriere vuole porre attenzione (tra cui Hildegard von Bingen e Matilda di Magdeburgo)La Storia ha tramandato una conoscenza limitata dell’opera di queste donne trascurando l’umanità, il sentire e la profonda e innegabile influenza nel mondo reale che ha ospitato le loro vite. Prima della pandemia siamo riuscite a organizzare la prima tappa di questo progetto: il focus era Hildegard von Bingen durante tre giorni che hanno dato vita ad un festival che ha visto non solo la messa in scena dello spettacolo, ma anche un ciclo di conferenze e appuntamenti conviviali con “il cibo che cura” di Hildegard».

Ma è accaduto quello che sappiamo: i Teatri sono stati chiusi.

Già, vedendoci impossibilitate a continuare il progetto attraverso appuntamenti dal vivo, è nata l’idea di realizzare alcuni podcast che andranno ad arricchire l’idea originaria. Saranno colloqui con Monia Galloni, l’artefice del progetto Amanti Guerriere. Qui affronteremo il tema sotto una veste più storica e filosofica.

Come hai conosciuto Hildegard?

Di preciso non ricordo, ho comunque la sensazione di averla incontrata per caso, come quasi sempre i grandi incontri sembrano accadere, per caso. Mi ricordo di un libro che ancora conservo, mi ricordo che leggevo le sue visioni, mi trasportavano in altri luoghi, intimi e profondi. La sua lettura esigeva un continuo confronto con i sensi e con la potenza dell’attenzione, il suo mondo costellato da simboli, da forme, da suoni (ricordiamo che Hildegard è stata anche una straordinaria compositrice) mi impegnavano in un continuo stato di ricerca personale ed intellettuale. Proprio perché in Hildegard le sue opere e la sua vita straordinaria sono tali, che può essere considerata non solo una badessa che ha fondato monasteri, ma a pieno titolo una poetessa, una profeta, una drammaturga, una musicista, un’esperta in fisica e in morale politica. I suoi scritti rimandano ad una visione del mondo tra micro e macro-cosmo. Così lentamente scoprivo, allora ero una giovane studentessa, un mondo di sorprendenti corrispondenze. Tutto questo lavoro, questa ricerca, seppure portandomi altrove, si è riverberata in tutti i miei lavori teatrali. Riflettendoci ora posso dire che già sapevo che volevo dedicare uno spettacolo a Hildegard, ma forse non osavo, forse non sapevo come affrontarla, come raccontarla, era diventata ormai una maestra, era colei che mi accompagnava silenziosamente, mi sussurrava le immagini, le visioni da rielaborare nelle mie opere. La continua lettura e rilettura ti accompagna in quella profondità intima che è difficile da rielaborare nel processo creativo. Più una cosa si avvicina a te, più diventa complesso affrontarla. Poi qualche anno fa confrontandomi con alcune persone che divennero parte integrante del progetto, decisi di scomporre in tre momenti spettacolari distinti l’azione teatrale, in modo da approfondire tutte le parti a me care che compongono la vastissima opera di Hildegard. La Parola, la Musica e il Corpo, aspetti trasversali che ritroviamo nelle tre opere teologiche a cui Hildegard affida la sua visionarietà e la sua mistica. È un progetto ambizioso che vede nella sua realizzazione finale l’apparire in scena di un trittico che immediatamente richiama alla mente la pittura medioevale, uno spazio che unisce e differenzia tre figure femminili, che abitano la scena: un’attrice, una musicista, una cantante. Per ora abbiamo portato in scena solo un primo frammento tratto dal suo primo testo mistico e visionario Scivias. Ma ci siamo accorte che con il passare del tempo e il lavoro in sala questo primo studio stava assumendo la forma compiuta dello spettacolo.

Come hai cominciato a costruire lo spettacolo?

Quello che doveva essere il primo studio, come dicevo, ora è diventato uno spettacolo dal titolo Liturgia per Hildegard. La drammaturgia della parola. L’inizio non è stato facile, mi sono messa in ascolto, volevo capire qual era l’urgenza che mi muoveva e che muoveva l’opera di Hildegard. Improvvisamente è affiorata una sensazione, un’eco di dubbio profondo; rileggendo la sua opera con questo nuovo sguardo in me risuonava ora una domanda, come un riverbero, una continua ricerca che si muoveva dal quel dubbio che permeava la sua opera. Era una domanda legata alla ricerca e alla vera natura che abitava le sue visioni, e che forse non può trovare risposta se non nell’affidarsi al proprio percorso. E così come fece lei, io mi affidai con fiducia alla scrittura e all’azione teatrale. E così ho cominciato a scrivere, e mi sono trovata a sorridere quando ho inciampato nel pensiero che lei aveva 49 anni quando iniziò a scrivere e narrare le sue visioni e io avevo 49 anni, proprio come lei, mentre iniziavo a scrivere quello che sarebbe diventato il testo Liturgia per Hildegard. Scrivevo con la sua musica che riempiva lo spazio che mi circondava e le sue immagini erano presenti e mi accompagnavano nella scrittura… era un continuo confronto tra ciò che mi muoveva e il portato delle sue riflessioni e le sue visioni. Poi è arrivato il lavoro in sala, l’improvvisazione della musica unitamente al testo che ancora doveva trovare il suo compimento, e insieme il respiro dell’attrice e il suono delle parole sono stati gli elementi e la strada per la realizzazione del lavoro.

E quando siete andate in scena la prima volta che esperienza è stata?

La prima volta abbiamo portato in scena una bozza dello spettacolo. In questo primo movimento ad interpretare Hildegard non c’era ancora Loredana, ma c’era Gaia una giovane e talentuosa attrice. Il lavoro è stato ospitato all’interno di un festival presso il monastero di Chiaravalle. Incredibile pensarci, ma abbiamo debuttato proprio nell’Abbazia che fu fondata da Bernardo Di Chiaravalle, figura importantissima per Hidegard. In seguito quando lo spettacolo assunse una ritmo e un respiro più maturo, abbiamo debuttato con Loredana all’interno della rassegna Auris, presso il monastero di Betania. Come noti, abbiamo cercato spazi fuori dal teatro. Spazi che riportassero lo spettatore ai luoghi abitati da Hildegard. Ma poi siamo ritornate all’interno degli spazi teatrali anche se li abbiamo rivoluzionati. Il Teatro Europa, dove io lavoro, è un teatro che è nato da una ex-stalla ristrutturata in modo che lo spazio scenico possa continuamente essere trasformato. Così ha assunto le fattezze di chiesa stilizzata, simbolica e a tre navate.

Quindi lo spazio si accorda perfettamente alla drammaturgia così come la musica.

Il lavoro è cresciuto in stretta comunione con la musicista Patrizia Mattioli, compositrice di musica elettronica. Il suo lavoro si è mosso dalle composizioni di Hildegard per arrivare, grazie all’improvvisazione, ad una sequenza musicale elettroacustica, basata sulla manipolazione di suoni e di tecniche di sintesi e di campionamento. Il lavoro che ha reso possibile l’organicità tra parola, musica e azione è stato l’improvvisazione insieme all’attrice. C’è stata una vera e propria ricostruzione drammaturgica della musica con ambienti e paesaggi sonori. La drammaturgia musicale entra in quella della parola e ora sappiamo che una non può vivere senza l’altra. La musica supporta e amplifica, racconta a un altro livello quello che il corpo e la parola narrano. Sono tre passaggi diversi e fondamentali, che hanno raggiunto una sintesi espressiva. Un lavoro in profonda unione anche sul piano delle luci e della scenografia. Il progetto ha visto la sua realizzazione grazie al lavoro in diversi step con due diverse attrici, e ha trovato il suo compimento con l’attrice Loredana Scianna. Ciascuna di noi ha messo una parte di sé in questo progetto. È un viaggio che sentiamo non essersi ancora concluso. Gli spettacoli a volte hanno vita propria, questo è di quelli che richiedono continue attenzioni e cure.

Come una pianta?

Io direi come un bambino. Questo lavoro va curato e ascoltato, Hildegard va curata e ascoltata. E considera che lo spettacolo è breve, dura 45 minuti non di più, ma sono 45 minuti molto intensi.

Parli di questo spettacolo come fosse una persona ed è una cosa che non capita spesso. Secondo te come reagirà all’impedimento che sentiamo nelle nostre vite in questo momento storico?

In questo spettacolo credo che sia Hildegard a parlare e parla ad un umano che va oltre a qualsiasi cosa che accada nel reale. È uno spettacolo che tenta di trascendere il reale entrando nel reale. Credo che permetta di porsi una domanda, la stessa che nello spettacolo ad un certo punto si pone Hildegard: “Chi sono io?” ma io ne aggiungerei un’altra: “Cosa io desidero realmente?” spesso rispondiamo con un elenco di cose, ma in realtà è una non risposta, perché abbiamo timore di andare a scovare il nostro vero desiderio, abbiamo paura di capire quello che davvero desideriamo. Per questo vorrei che lo spettacolo fosse un piccolo seme, un seme offerto al pubblico, che aiutasse a mettersi in domanda. Il teatro nasce con l’essere umano e deve parlare al divino che è in noi, alla parte nascosta che è in noi… Questa per me è la grande sfida.

Credo che il tuo tentativo sia quello di mettere l’umano a contatto con l’umano attraverso il divino.

Sì, noi siamo esseri divini, abbiamo la necessità, il bisogno di comunicare tra noi e l’altro da noi. C’è un filo sottile che ci unisce, la pandemia ci sta alienando, o almeno questa è la sensazione che permea il nostro sentire. Dovremmo essere complici con la nostra natura, dobbiamo rimanere in ascolto, vigili, attenti e soprattutto dovremmo coltivare la bellezza.

Non mi stupisce che lo spettacolo sia breve: è un qui e ora che risponde all’esigenza dell’intensità.

Sì, anche quando riprendendo per le prove aggiungiamo frammenti, questi sono brevissimi, devono essere giusti ed essenziali. Sento, comunque che lo spettacolo è ancora mancante di qualcosa anche se ormai può dirsi concluso, anche se alcune persone del pubblico mi confessano che dopo giorni continuano a pensare alle parole e alla musica. Questo perché c’è Hildegard che parla, oltre il tempo. È vero, il testo l’ho scritto io, ma ho cercato di trovare un’aderenza alla scrittura di Hildegard, ho cercato di pensare come lei avrebbe potuto scriverlo. E quando lo sento recitare riconosco i dubbi e le fragilità che sono in me. E gli stessi spettatori si riconoscono in quelle parole. Diventa, oserei dire, un parlare ad ampio respiro.

È come se avessi trovato il suo livello di Parola?

Più che altro penso di essermi messa in un ascolto autentico di Hildegard.

Ma c’è una visione in particolare che ti ha sempre colpito?

La visione universale, cosmica che lei narra nei testi e si riverbera nelle miniature. C’è un dentro e c’è un fuori dal corpo che si corrispondono in modo universale.  Lei disegna immagini che rimandano a geometrie oserei dire cosmiche che possiamo trovare, ad esempio, in oriente nei mandala. Questo mi ha dato la percezione non solo intellettuale, ma fisica che quando ti metti in connessione con te stesso, trovi un legame unico con tutto quello che ti circonda. L’essere umano è legato a immagini simili, anche se le culture sono molto distanti. Adesso come a vent’anni vedo una tessitura nell’apparire del mondo, c’è tanto da scoprire, riscoprire. Lei è stata motore per me, Hildegard mi ha parlato anche di questo. È un rapporto complesso, forse.

Eppure, è molto chiaro. È come se Hildegard fosse cresciuta con te o abbia impostato la tua crescita anche mentre non lo sapevi.

Sì, è come se lei fosse una chiave per aprire il mondo. Come dicevo, vorrei continuare a portare questo spettacolo anche fuori dallo spazio teatro, per trovare una nuova freschezza, immagini nuove, parole nuove, per poi tornare a casa. Ma come in tutti i viaggi il ritorno ti accoglie arricchito e nutrito. Inoltre, ho la sensazione che il teatro si stia allontanando dalla sua natura più autentica.

È un problema culturale: in Italia e in Europa stiamo facendo altre scelte. Ci sono i social, le televisioni…

Sì, tutto l’Occidente ha abdicato da un certo momento in poi, c’è qualcosa che va rimesso in ordine oggi, riuscire a farlo è tutt’altro che facile. Di sicuro l’Occidente ha scelto di rinunciare al rito nel senso ancestrale e ora il difficile è capire cosa fare.

Tutte le rivoluzioni sono difficili da mettere in atto, e forse è ancora più difficile mantenerne gli esiti…

È facile parlarne, sì, ma nel fare poi diventa tutto complesso. Siamo tutti molto distratti in questo momento e credo sia necessario mettersi in ascolto. 

ARTICOLO DI IRENE GIANESELLI

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