Conversazioni al presente: un incontro con la Compagnia Proxima Res

Conversazioni al presente sono incontri pensati per avvicinare lettori e lavoratori dello spettacolo, per vivere insieme il qui e ora oltre le sofferenze e le costrizioni, le mancanze e le privazioni. Riflettere sul tempo presente apre le porte al futuro, è un’occasione di studio.

L’Associazione Culturale Proxima Res nasce a Milano nel 2009 in occasione dell’allestimento dello spettacolo Buio, progetto ideato e diretto da Carmelo Rifici. Nei mesi successivi alla fondazione, l’Associazione si radica nel territorio milanese concentrando l’attività sulla produzione teatrale e sviluppando fin da subito una particolare sensibilità verso una nuova drammaturgia strumento di indagine del vivere contemporaneo. Senza mai perdere di vista la scena nazionale, grazie anche ai suoi associati che collaborano singolarmente con le più importanti realtà teatrali, la Proxima Res e i suoi spettacoli verranno presentati in tutto il territorio italiano, ottenendo importanti riconoscimenti da pubblico e critica. Dopo quattro anni di attività, nel 2013 i soci decidono di aprire un loro spazio dove sviluppare l’altra anima dell’associazione, quella pedagogica e formativa. Nasce così la Scuola Proxima Res, una scuola biennale propedeutica aperta ai giovani che vogliono intraprendere un percorso di studio per diventare attori. La Proxima Res quindi non è né soltanto una compagnia teatrale né esclusivamente un gruppo di ricerca e di formazione, né una delle tante associazioni culturali. La Proxima Res è un luogo, un luogo di incontro e di scambio tra personalità artistiche differenti e autonome, dai più svariati background e appartenenti a diverse generazioni.

Proxima Res è una Compagnia composta da diverse professionalità. Ciascuno starà pensando il proprio mestiere in questo contesto storico.

Mariangela Granelli (attrice): La chiusura dei teatri da un anno a questa parte, e l’indifferenza con la quale questa mancanza è stata trattata dalla società civile, mi ha come risvegliato da un incanto. L’incanto di credere che l’esperienza teatrale fosse fondante per ogni essere umano, per ogni cittadino che volesse costruirsi una coscienza critica e civile. Il teatro ha da sempre avuto questa funzione e io ho sempre dato per scontata la sua necessità intrinseca all’uomo. Abbiamo dovuto constatare con amarezza che da tanti purtroppo siamo stati considerati puro intrattenimento superfluo, in un momento in cui “c’è ben altro a cui pensare”. Credo che ogni artista debba fare una profonda riflessione – ancora e sempre di più – su cosa abbia senso dire e perché. Sono domande aperte per quanto mi riguarda, non ho una risposta chiara e risolutiva, ma sento sempre vibrante la connessione con tutto ciò che è ancestrale ed archetipico, che continua a parlare all’uomo da secoli. Mi riferisco alla tragedia greca ed ai classici, che sono in grado di parlare all’animo umano anche svincolati da epoche storiche particolari. Abbiamo bisogno di confrontarci con queste parole potenti per continuare il nostro cammino di consapevolezza, rispecchiarci, accendere riflessioni e lenire il dolore delle nostre vite. 

Emiliano Masala

Caterina Carpio (attrice): Con l’arrivo di questa pandemia il mio mestiere è stato messo a dura prova e con esso il mio personale sistema psicologico ed emotivo. Tutto è fermo e chiuso, sono un’attrice, una donna di quarant’anni con un figlio, già le prospettive teatrali in Italia non sono facili per chi decide di avere una famiglia, e adesso? Il palcoscenico in questi anni mi ha insegnato moltissimo, soprattutto a ricercare e mantenere sempre un equilibrio, nonostante le amarezze, la precarietà, le fatiche. Ho continuato ogni giorno a lavorare e cioè a studiare, a leggere, a guardare, ad allenarmi, a pensare a nuovi progetti, perché il mio desiderio di teatro non si è mai esaurito. Ho affrontato ogni giorno come fosse un giorno di prove e in questo mi sento fortunata. Ma non è facile immaginarsi il futuro e continuare a porsi obiettivi concreti giorno per giorno, perché siamo una categoria fragile sotto molti punti di vista.

Emiliano Masala (attore, regista): La prima importante risposta è che ho voglia di lavorare. E non è una risposta scontata visto il periodo. Questo tempo mi spinge sempre di più a chiedermi quanto questo mestiere sia necessario ed importante non solo per me e per il mio ego. Ebbene, penso di avere ancora voglia di raccontare una storia, di raccontare storie imperfette, di vivere corpi sbagliati, di pensare che il mondo possa essere stravolto e allo stesso tempo riflesso sulle assi di un palcoscenico. Penso che i giovani più che mai debbano tornare ad incontrare il teatro nelle loro vite, troppo bruscamente private del contatto e di una spudorata immaginazione. E chi se non noi attori-artisti ha il compito di ridare quelle sensazioni.

Francesca Porrini

Francesca Porrini (attrice): In questo periodo difficile e di confusione penso continuamente alla possibilità di cambiare lavoro, non perché il teatro non sia necessario, il teatro è un rito indispensabile che esiste da sempre e per sempre esisterà, ma con un governo che non mette la cultura tra le priorità, mi chiedo se avrò la volontà, le energie e le possibilità di r-esistere, inoltre noi attori/attrici non siamo una categoria unita e questo impedisce un fronte comune. Allo stesso tempo penso al tanto per cui devo essere grata e cerco di rivolgere lo sguardo fuori di me, di guardare l’altro e mi ricordo che c’è ancora una “buona battaglia” da combattere.

Ugo Fiore (attore): Per me questo è un momento di studio. Devo capire cosa sta succedendo intorno a me e come posso rispondere con il mio strumento, il teatro, a questa crisi, non solo sanitaria, ma che riguarda l’intera società. Sto cercando di rendere fertile questo periodo per capire quali parole siano necessarie adesso, quale racconto può ancora interessare un mondo che si vede costretto in casa senza nessuna visione riguardo al futuro. Quale sarà il mio ruolo nel mondo di domani?

Margherita Baldoni (scenografa e costumista): In questo momento di inattività, in realtà non mi sono fermata completamente, il nostro è un lavoro dove se le idee non circolano, o se il pensiero rimane stagnante è disastroso, ed allora ci siamo messi a studiare Il Principe di Machiavelli, il Decameron, El nost Milan di Bertolazzi. Ho seguito un corso on line di Photoshop, ho visitato tanti musei on line, ho letto più libri che potevo. La mia è una professione che non è autonoma: non esiste un costume senza un attore che lo indossa o una scena senza spettacolo, è quindi difficile progettare o disegnare bozzetti senza un’idea registica o una indicazione da parte di altri.  Spero che si possa tornare presto in teatro, io soprattutto dietro le quinte.

Tindaro Granata (attore, autore, regista): Da quando esiste il Covid-19 e tutto il mondo è cambiato, anche io sono un drammaturgo cambiato: non ho desiderio né alcuna necessità di scrivere testi teatrali, in questo momento; forse questo tempo deve essere raccontato dai giornalisti, noi drammaturghi dovremmo occuparci del futuro e quindi vivere, osservare, ascoltare, studiare questo nuovo mondo e questo nuovo essere umano che parla attraverso video e foto, ma non sa salvarsi dalla solitudine di questa prima peste del nuovo millennio.

Tindaro Granata

A proposito di drammaturgia, tra i progetti di Proxima Res resiste Situazione Drammatica che diventa sempre più una grande occasione di incontro con la nuova drammaturgia, Tindaro, ce ne avevi parlato nell’intervista precedente, raccontaci ora i progressi di questo progetto.

Tindaro Granata: Situazione Drammatica è stata da subito un fertile terreno di incontro tra drammaturghi e spettatori dando quell’occasione che mancava per far vivere al pubblico il meccanismo magico della trasformazione della parola scritta in parola recitata e renderlo così parte integrante del rito teatrale. Nonostante sia nato pochi mesi prima dell’arrivo del Covid-19 e abbia subito come tutti, tagli e soppressioni, quando riapriranno i teatri saremo nuovamente in scena a Milano e a Roma. Quest’anno ci sarà una grande novità, abbiamo stabilito una bella “amicizia” con la prestigiosa rivista Hystrio e uno dei vincitori del concorso “Hystrio – Scritture di scena” sarà messo in lettura nella nostra rassegna de “Il copione”.

Uno sguardo europeo: vi state confrontando con Compagnie, Istituzioni e realtà fuori dall’Italia? Se sì, qual è l’esito e cosa emerge da questo confronto?

Michele Panella

Michele Panella (drammaturgo, traduttore, organizzatore): Il processo di internazionalizzazione della Proxima Res stava cominciando a muovere i primi passi proprio quando è arrivata la pandemia; lo scorso ottobre siamo rientrati tra i cinque progetti della sezione A – finanziati dal Ministero degli Affari Esteri – del bando “Vivere all’italiana sul palcoscenico” con lo spettacolo Materia Oscura, un importante sostegno per poterlo promuovere all’estero. Siamo in contatto con diverse realtà europee ed extraeuropee e, chiaramente, le profonde difficoltà sono un male comune. In linea generale le programmazioni sono sospese quasi ovunque, si è creata una certa vivacità online, vivacità condita con un bel pugno di frustrazione, ma pur sempre un’ancora di salvezza per sentirsi vivi: in Spagna sono aperti solo i grandi teatri che possono permettersi le regole del distanziamento sociale, come anche in Croazia, dove però si è registrato qualche caso di contagio; in Bulgaria sono aperti con una capienza al 30% ma la Summer Scriptwriting Base – residenza internazionale sulla scrittura scenica – organizzata nel Centro di Residenza Artistica Duppini a Gabrovtsi, ha avuto un boom di domande per la prossima edizione che è stata confermata per il prossimo luglio. Anche in Serbia sono aperti con le regole del distanziamento. In Olanda, Germania, Inghilterra, Francia sono tutti rigorosamente chiusi, come in molti altri Paesi europei. In Francia, come in altri Paesi, la formazione teatrale è permessa per i minori, nelle scuole. Le accademie sono chiuse ovunque e i corsi sono solo online. Le cose sono un poco diverse in Giappone dove le sale concerto e i teatri sono aperti al 50% della loro capacità, si accede con le regole che abbiamo conosciuto in Italia la scorsa estate ma hanno dovuto anticipare le programmazioni per poter chiudere entro le ore 20. 

Il Teatro affronta tutte le dimensioni, voi state continuando a lavorare sullo spazio: Proxima Res sta offrendo un porto sicuro per le Compagnie in difficoltà.

Mariangela Granelli

Francesca Porrini e Mariangela Granelli: La sala prove per noi è uno spazio sicuro, un luogo dove si può essere liberi di creare, di studiare, di sperimentare; un luogo dove il giudizio degli altri e quello che ognuno ha verso se stesso può essere lasciato fuori dalla porta, insomma dove si può, o meglio, si deve “sbagliare”. Un posto dove ti puoi staccare dalla confusione del mondo che sta al di fuori perché ciascuno possa creare il proprio caos personale. La nostra sala Proxima Res, è sempre stata occupata da attività inerenti la scuola di teatro e le produzioni. Da un anno a questa parte, durante questo infelice periodo, siamo stati costretti a sospendere le nostre attività in presenza, e ci siamo ritrovati con uno spazio con un grande potenziale, ma purtroppo sempre vuoto. Così è nata l’idea di Sala Solidale Proxima Res. Sala Solidale Proxima Res si rivolge alle Compagnie che in questo momento così difficile si sono trovate con una produzione rimandata e con il loro lavoro in attesa di poter ripartire. Da noi potranno trovare un luogo in cui tenere vivo il fermento creativo. Ci auguriamo che la nostra iniziativa possa essere uno stimolo per altre associazioni che in questo momento hanno uno spazio fuori uso come il nostro.  Siamo una categoria disgregata, ma bastano piccoli gesti concreti per sentirci più legati. C’è chi ha fatto notare che la nostra offerta è strategica, perché ci dà visibilità e noi rispondiamo: “Che male c’è?”. Pensare agli altri per come si può è qualcosa che ci auguriamo crei un circolo virtuoso di solidarietà, soprattutto perché siamo convinti che bene chiami bene e il bene è sempre il prodotto di un’arte.

Al di là della mancanza, pensare il presente significa anche affrontare il futuro. Cosa accadrà al Teatro secondo voi?

Emiliano Masala: Il teatro, l’arte, la cultura in generale, sono convinto che manchino anche a chi forse non era solito frequentarli.
Non credo che si debba ricostruire tutto dalle fondamenta. Del buono indubbiamente c’era e ci sarà ancora, penso piuttosto che si debba realmente migliorare le criticità già esistenti. La prima ovviamente sono le risorse, gli aiuti agli artisti e al loro lavoro, c’è voluta una pandemia per parlare più concretamente di ammortizzatori sociali necessari per questa categoria. Ammortizzatori che potrebbero permettere ad artisti di studiare, approfondire, arricchire il loro sapere e il loro immaginario senza arrivare strozzati e frustrati a fine mese. Poi sicuramente il parlare di più di questo mondo. Il mondo del teatro non può essere sempre confinato in un piccolo articolo a fondo giornale. Bisogna che i grandi mezzi di comunicazione ne parlino più frequentemente, trasformando la parola “Teatro” in un concentrato di sillabe fondamentali per la nostra vita. E poi il luogo fisico teatro, se non vorrà morire o suscitare distanza e paura tra la gente, dovrà assumersi veramente il compito di trasformarsi in un presidio culturale per le città. Sempre aperto sempre pronto ad incontrare nuovi spettatori, e non solo abbonati o addetti ai lavori. Un luogo dove ripararsi dal degrado umano e culturale che ci invade.

Margherita Baldoni

Margherita Baldoni: Dal punto di vista formale il teatro può avere un’evoluzione rispetto al passato e al futuro, con l’utilizzo di tecnologie e linguaggi più consoni all’epoca cui appartiene, ma il contenuto dello “spazio teatro” non ha tempo. Il teatro è quel luogo che pone in relazione lo spettatore con uno o più esseri viventi che, con la parola, il gesto e l’azione, hanno la capacità di creare una potente alchimia in grado di suscitare emozioni negative o positive, stimolare pensieri, fantasia e immaginazione, scuotere coscienze collettive e individuali. È uno dei mezzi per perseguire “virtute e canoscenza”, impedendoci di vivere come bruti, perché non per questo fummo fatti. Mi ritengo fortunata perché nel corso della mia vita ho incontrato chi mi ha insegnato a fruire di questo luogo unico che è il teatro. Il teatro mi ha guarito, nutrito, soccorso e ritengo che se non siamo in grado di “aggrapparci” all’arte, la nostra vita sarà più meschina. Penso che ai bambini andrebbe insegnato che il teatro è il luogo del possibile, dove tutto può accadere. Farne parte è entusiasmante e commovente, ma bisogna mantenere un’attitudine ponderata e attenta: non ci si parla addosso, non si ruba la scena all’altro, non si va in scena se non è il tuo momento, se non sei fiducioso e generoso lo spettacolo è un fiasco, se non ci si prepara e si studia si fanno buchi di scena, si lavora tutti insieme per un unico scopo. Il teatro è, e può essere, una reale palestra di virtù. Potrà esserci un futuro per il teatro se ci sarà da parte delle istituzioni la volontà di praticare la virtù e con essa il teatro come palestra.

Cosa ancora bisogna fare perché un Teatro chiuso diventi davvero un problema politico, sociale, vitale per tutte e tutti?

Caterina Carpio

Caterina Carpio: Non lo so più. Il silenzio assordate dei teatri chiusi dovrebbe parlare più di ogni manifestazione, più di ogni protesta. Eppure non è così. Come si fa a vivere in una società che non si guarda più allo specchio, che non condivide più emozioni e pensieri in tempo reale? Il teatro è un problema politico, perché il teatro è un atto politico, è azione, pensiero, cuore. In modo provocatorio mi viene da pensare che si debba continuare così fino a quando non saremo sepolti da noi stessi, fino a quando la solitudine sarà un peso talmente insopportabile da spingerci a scavalcare i cancelli chiusi, occupare i posti in platea anche solo per guardarci in faccia. Il teatro per fortuna manca a molte persone e ora deve avere il coraggio di voltare finalmente pagina. Immaginare nuove modalità di produzione: ci deve essere il tempo della creazione. Registi, attori, scenografi, drammaturghi e le altre maestranze devono avere il tempo di confrontarsi, di fallire, di rischiare. Bisogna rinunciare alle logiche che fino ad oggi hanno guidato il sistema teatrale, semplicemente perché non sono più sufficienti. Il mondo ci chiama ad altro. Investire sulla nuova drammaturgia, che c’è ed è prolifera ma che è ancora relegata al ruolo di “sperimentazione”. Da noi ci si pone ancora il problema di mettere in scena “il titolo” e si perde sempre più il contatto con il reale, con le nuove generazioni che hanno bisogno dei classici, per carità, ma che desiderano anche nuove voci e nuovi sguardi.

Ugo Fiore

Ugo Fiore: Se un teatro chiuso non è un problema per tutti, allora il fallimento è prima: quando il teatro è aperto. Se il pubblico, ora che tutto è chiuso, non sente la mancanza del teatro e quindi non pensa che un luogo di cultura sia un luogo essenziale (scrivo “pensa” perché qui si potrebbe aprire un discorso infinito) vuole dire che, per me, il teatro non ha svolto il suo ruolo. La solitudine che stiamo vivendo adesso e la sensazione di parlare nel nulla sono la naturale conseguenza di un modo di concepire il teatro (aperto) poco coraggioso, poco politico, non essenziale, interscambiabile con l’aperitivo sui Navigli. Forse siamo noi i primi responsabili della nostra marginalità: la società non ci considera come parte della soluzione, ma come un semplice divertissement”, che deve stare zitto e aspettare che i tempi siamo migliori. Perché siamo diventati così marginali? Penso che la risposta sia nel rapporto con il pubblico. Rubo le parole del maestro Luca Ronconi: “Il teatro sembra essersi ridotto ad una semplice ricerca di accettazione, di consenso e non contempla più un fecondo e teatrale rapporto di conflitto”. Se quando vado a teatro esco dalla sala e me ne torno a casa risolto, senza portarmi dietro una domanda, un dubbio, un problema, allora sì, il teatro è sostituibile con uno Spritz sulla terrazza di un bar. Dobbiamo sfruttare questo tempo sospeso per ripensare il nostro rapporto con il pubblico, per creare una relazione di conflitto che sia feconda per il mondo che ci circonda.

ARTICOLO DI IRENE GIANESELLI

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