Dal 1 al 31 marzo il Teatro di Roma propone una Trilogia dedicata all’attrice Elena Arvigo: sul palcoscenico del Teatro Torlonia tre spettacoli intensi e vibranti. Da 4:48 Psychosis di Sarah Kane, passando per Il dolore della scrittrice francese Marguerite Duras, fino ad Una ragazza lasciata a metà dell’irlandese Eimear Mcbride. Tre ritratti appartenenti a periodi e tempi diversi e lontani tra loro, ma tutti densi di vita che una attrice sola in scena porge al pubblico attraverso il suo corpo e la sua voce, uscendo fuori da se stessa e diventando altro.
In queste note, la notte prima di andare in scena, Elena Arvigo riflette sul suo modo di vivere il mestiere di attrice e ricorda il proprio incontro con Sarah Kane.
Le circostanze dell’incontro con Sarah Kane sono state apparentemente casuali, come di solito succede per gli incontri importanti. Non conoscevo quasi Sarah Kane quando mi è stato proposto da Valentina Calvani di portare in scena 4:48 Psychosis.
Per me è stato un doppio battesimo. Non avevo mai fatto monologhi e non avevo mai lavorato al di fuori del teatro istituzionale. Era il 2009.
Nel 1999 mi diplomai alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, passai dieci anni alternando le tournée con lavori per il cinema e la televisione, con il privilegio spesso di potere scegliere. Facevo “l’attrice” con il physique du rôle della giovane attrice e senza troppe sfumature aspettavo che arrivassero proposte e facevo provini.
Ma – come da millenni ci ricorda puntuale Eraclito – il carattere di un uomo è il suo destino e dunque hanno cominciato a manifestarsi i primi segni di una certa insofferenza a questo modo di vivere il mio lavoro di attrice. Questo avvenne durante la tournée delle “Signorine di Wilko” di Alvis Hermanis.

E in questo punto del tempo è arrivato il mio appuntamento con Sarah Kane e con 4:48 Psychosis. Senza esitare, perché appunto “la scelta viene dopo”, ho lasciato la tournée di E.R.T. (Emilia Romagna Teatro) per imbarcarmi in questa esperienza di teatro indipendente.Valentina Calvani è la regista di questo spettacolo e la mia gratitudine nei suoi confronti, per avermi scelto e voluto con tanta tenacia e grazia, è irrevocabile. Come la riconoscenza deve essere. Ecco come è iniziato il viaggio al Teatro Argot di Roma nel 2009.
Se l’impatto con questo testo è stato così forte, ciò fu possibile per una concomitanza di circostanze che ne aumentarono l’intensità. Ritrovavo “la parola” che avevo sempre cercato – parole di ribellione e amore insieme –.
Questo testo è una bestemmia che benedice nel momento stesso in cui viene detta perché rivela in quel momento la sua infinita compassione. È una preghiera. In questi nove anni lo spettacolo non è mutato “formalmente” ma ci sono state delle variazioni di intensità dovute a vari fattori. Sicuramente è cambiato il mio modo di stare in scena perché ho alzato la posta rispetto a cosa significa “stare in scena”.
Per me, attraverso poi tutti gli altri spettacoli e con l’inizio del mio lavoro di regia e di formazione con gli attori giovani, con l’esperienza del regime di autoproduzione, questo lavoro finalmente ha smesso di essere solo un “lavoro” e mi sono riappropriata di quella urgenza e necessità espressiva per cui mi ero avvicinata al teatro e prima ancora alla danza.

Credo che faccia parte di ogni percorso che si possa definire tale il riappropriarsi con consapevolezza, dopo un certo tempo di esplorazione, il riappropriarci di quello che ci aveva fatto muovere verso qualcosa istintivamente e intuitivamente e quindi – apparentemente – casualmente. Non sempre questo accade perché ci sono tante resistenze e ci vuole molta fortuna, bisogna fare gli incontri giusti e bisogna essere tenaci.
I talenti più interessanti e puri spesso sono quelli che hanno più difficoltà a resistere in un ambiente dove è più premiata la capacità relazionale e il politcally correct, che qualsiasi altra cosa. La capacità di tessere alleanze. Come fossero matrimoni. Ho visto i migliori talenti essere sopraffatti dallo stupore e dal dolore di vedere tanta politica e falsi rapporti. E quelli che sembravano ribelli cambiare nel momento dell’invito formale a corte. Trovare un equilibrio autentico è molto difficile. La diplomazia e la capacità di mediare sono tensioni quotidiane verso qualcosa di poco chiaro e compromettente e per quanto mi riguarda sperimento la mia incapacità e il mio fallimento quasi ogni giorno. Se ho resistito non è per il talento. Ma è soprattutto perché sono stata fortunata e perché ho trovato degli alleati, degli amici, nei miei spettacoli.

Sarah Kane è stata uno di questi. Anna Politkovskaja è stata un’altra amica carissima. Sarah Kane ha lasciato i diritti di rappresentazione dei suoi testi liberi e così non è mai stato possibile “escluderci”, nonostante varie volte teatri “importanti” ci abbiano provato. Non esiste la possibilità di avere l’esclusiva su Sarah Kane. Questo sua lungimiranza e attenzione verso l’arroganza del potere mi ha sempre fatto sorridere e commosso.
Il viaggio è sempre quello verso Oz, per riappropriarsi di quello che avevamo già all’inizio ma che non sapevamo di avere – ancora.
Ci vuole il tempo che ci vuole. Non ci sono scorciatoie e questo spettacolo mi ha accompagnato come un filo rosso attraverso tutti questi anni ricordandomi perché mi piace questo mestiere così strano. Questo spettacolo mi ha tenuto tanta compagnia e dato conforto. Penso davvero di essere stata molto fortunata.
Oggi mi sembra quasi un sogno aprire proprio con 4:48 Psychosis questa personale voluta dal Teatro di Roma, città che amo tantissimo nonostante i suoi peccati “capitali”. Forse fa più effetto a me essere qui, a me che vengo dal teatro istituzionale e che questi palcoscenici li ho visitati tante volte quasi con diritto di nascita, senza nessun senso di conquista o di rivalsa. Ora invece essere qua, con spettacoli nati da sogni e intenzioni e urgenze personali, cambia tutto. Dalla voglia di libertà. La tensione verso.

Sempre. Che bellissimo viaggio trasversale che è stato – fino a qua. Ancora con Valentina e Sarah ripetere queste parole di amore, di speranza. È il primo di marzo e già se ci penso mi si ferma il respiro un attimo. Come è bello che sia.
Sentire il respiro che si ferma lì, l’emozione, l’intensità e poi cercare di riprenderlo e iniziare la danza.