La seconda edizione della rassegna in memoria di Vito Attolini: Sotto il segno del film si conclude a gennaio 2019

La Fondazione Apulia Film Commission e il Gruppo Puglia del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) ricordano il compianto collega Vito Attolini, venuto a mancare l’11 dicembre 2017, con la seconda edizione della rassegna “Vito Attolini, sotto il segno dei film”: sei proiezioni a ingresso libero, dall’ 11 dicembre 2018 al 28 gennaio 2019 presso la sede della Mediateca Regionale Pugliese di Bari. I film sono stati introdotti dai critici del Gruppo Puglia del SNCCI.

L’incontro del 16 gennaio è stato dedicato al film Sorrisi di una notte d’estate (1955) di Ingmar Bergman.

Forse il più grande paradosso nel quale si inciampa di continuo è quello di ritenere il teatro e il cinema due mondi lontanissimi, inconciliabili, o peggio quello di ritenere il cinema in qualche modo di molto superiore al teatro.

Capita spesso di sentire registi teatrali affermare con certezza che il loro teatro è un teatro cinematografico o di leggere recensioni a spettacoli in cui questi vengono definiti “cinematografici” e vale del resto il contrario. Bergman però dovrebbe valere come un esempio limpido di quanto queste affermazioni nascondano una sostanziale ingenuità. È il teatro la matrice di tutte le arti performative e questo non significa certo svilire il ruolo del cinema nella Storia dell’umanità, ma se crediamo, quando andiamo al cinematografo, che il gioco abbia regole attoriali diverse, forse siamo spettatori distratti.

Bergman questo lo sapeva bene: nasce dal palcoscenico e dalla scrittura per il teatro uno dei più grandi talenti cinematografici. Non a caso proprio Sorrisi di una notte d’estate deve molto ad una certa pratica di palco, al gioco registico colto qui nel suo più alto compiersi, alla struttura della commedia di Menandro prima e di Shakespeare, Molière e Marivaux poi.

Sorrisi di una notte d’estate è un abile gioco di prestigio: lo compie un’attrice/regista (una comedienne) consapevole e sfacciata, che riesce a mettere ordine (proprio come succede in tutte le commedie del Bardo) nel gomitolo di amori e tremori in cui trionfa in particolare la coppia della servetta sfacciata e del tutto fare bevitore di birra che conserva una visione della vita saggia e pragmatica, bucolica.

Sorrisi di una notte d’estate – Bergman

Certo l’orizzonte sociale è ben diverso, quelli in scena sono borghesi che giocano alla corte di una anziana regina madre che sguazza nel barocco tutto amorini e tavole imbandite e che si presta, tirando fuori un vino pregiato che somiglia ad un filtro d’amore degno di Puck, al piano di regia della figlia attrice.

C’è un certo, profondo dispiacere in Bergman nel ritrarli, questi borghesi: sono militari che si ammantano di aggressività da tigre alla bisogna, ma che poi giocano alla roulette russa a salve. Sono avvocati dongiovanneschi che però rispettano con osservanza le mogli diciottenni che non vogliono consumare il matrimonio, sono giovani teologi (la censura italiana li trasforma per convenienza in filosofi) che hanno dubbi su Dio, sul peccato e sulla vocazione ma che finiscono per spodestare i padri e per prendersi l’ambita matrigna-vergine che ricambia la passione.

Bergman gioca con le sue inquadrature seducenti, con i primi piani, con la giusta misura nella staticità che permette di godere dei dettagli, ma soprattutto fa recitare – giocare – i propri attori seguendo una geometria di movimenti non ingessati, di certo puntali: se una smorfia, se un sorriso fosse fuori posto si cadrebbe nello stucchevole o nel frigido didatticismo. Invece Bergman non ha fretta di impietosirsi, ma nemmeno rinuncia al sarcasmo. Basta notare sopra tutti il gioco della pozzanghera in cui finiscono i due spasimanti dell’attrice, il militare come l’avvocato: acqua torbida, acqua torbida è l’animo del prudente borghese.

Sorrisi di una notte d’estate – Bergman

Non si dica nemmeno, però, che Bergman è un femminista. Non è una questione di genere se le donne sono improvvisamente autonome e consapevoli della propria maternità e della propria sessualità, come della propria genuina gioventù o della propria sudditanza nei confronti di mariti che vorrebbero dipingersi libertini, virili e possenti – persino nelle astinenze e nella fede – ma che di fatto nascondono fragilità irrisolte. Certo non è casuale che la forte censura all’epoca volle intervenire tagliando sia le scene di omoerotismo femminile, sia i dialoghi in cui la figura dell’attrice emerge come quella di una donna indipendente e del tutto disinteressata ad un matrimonio di convenienza, del resto la censura intervenne anche nel modificare le parentele tra i protagonisti (la giovanissima matrigna si innamora del figliastro, non del nipote di suo marito).

Sorrisi di una notte d’estate – Bergman

In questo magma si agitano complessi edipici, lotte generazionali da commedia plautina, ossessioni femminili e maschili per la vecchiaia che rapina bellezza e desiderio, e timori kierkegaardiani e acqua torbida. Acqua torbida di assenze, non detti, desideri e aspettative soffocate. Ogni azione e ogni immagine ha la sua dorata cornice in una musica mai eccessiva, sempre coerente nel sottolineare i passetti maliziosi delle burattinaie e dei burattini. Un Bergman delizioso, ma che nasconde nella delizia e nel grottesco il tormento e il mistero di cui sarà eccelso narratore nelle pellicole successive.

Articolo di Irene Gianeselli

 

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