Il ritorno e l’attesa. Tommaso Ragno riceve dall’attrice Valeria Cavalli, in Giuria per la sezione Panorama Internazionale, il Premio Alberto Sordi al Bif&st 2023 come Miglior attore non protagonista per le sue recenti interpretazioni in Siccità di Paolo Virzì, Nostalgia di Mario Martone, Ti mangio il cuore di Pippo Mezzapesa.
Una decina di anni fa conversavamo sul set di A metà luce di Anna Gigante. Chi è diventato l’attore Tommaso Ragno in questo tempo?
Uno che ha avuto più possibilità con l’andare del tempo, sai cosa? Bisogna vedere che ne pensa il pubblico, perché il mio è un lavoro pubblico. Devi dirmelo tu, ti rivolto la domanda. Posso dire un sacco di cose, io, ma non troppe: un attore deve rimanere non troppo convinto di ciò che gli sta accadendo. Perciò dimmelo tu.
Non penso sia cambiato il tuo modo di entrare nelle cose, quanto la percezione negli altri di ciò che fai. Sei ancora un attore che studia, per il quale recitare è prima pensare. La tua presenza in scena era già interessante. Ma secondo te perché è cambiato questo modo di guardarti all’opera?
Magari le qualità per cui non mi prendevano, oggi sono quelle per cui i registi mi scelgono. Il mondo del cinema è legato anche a che faccia hai in quel momento, il cinema è un’arte estremamente visuale, rispetto al teatro. Poi si impara anche a conoscere la macchina da presa. Magari un giovane pensa subito “Voglio fare il protagonista”, ma è un lavoro di insieme. Cioè imparare piccole porzioni ti insegna moltissimo, impari a stare sul set, impari ad aspettare. Ecco, soprattutto ad aspettare. Qualunque occasione venga data per manifestare il proprio talento poi è sempre benvenuta. Viene data una opportunità, magari non nelle condizioni ottimali, come immagini tu. Conta se poi impari a stare dentro a quelle controversie, traversie di cui è anche fatta la costruzione dell’opera. Come diceva prima Fabrizio [Gifuni, n. d. r.] ci sono perfino opere che non vengono realizzate, come è accaduto a me e lui di essere scelti da Claudio Caligari e poi quel film non s’è più girato… ma non ha più importanza ora, ci sono tante cose che non sono accadute. Caligari è un esempio grandioso del cinema e della difficoltà di farlo, è uno dei più grandi registi che noi abbiamo avuto ma non è riuscito a realizzare tutti i film a cui ha pensato, però ha rivelato Alessandro Borghi e Luca Marinelli, due attori che avevano già lavorato in altro. L’invenzione di figure attoriali al cinema è una cosa complessa… proprio come per Alberto Sordi, del resto.

Durante l’incontro al Teatro Margherita hai lasciato in sospeso un discorso riguardo Il segreto del Teatro del No?
Il fiore di un attore comincia quando comincia la maturità, alle soglie dell’invecchiamento. Non nella vecchiaia intesa come forma di menomazione, ma quando si solidificano e si concentrano delle energie che hanno avuto un tempo per maturare. Come nella fotosintesi, un processo in cui gli elementi, aria, terra, fuoco… si incontrano e producono il miracolo di una foglia. L’incanto sottile richiede tempo. Sono a un punto della vita in cui c’è una summa di cose accadute da una parte e delle cose nuove dall’altra. Prima de Il miracolo di Ammaniti, per esempio, fare cinema era più occasionale, ero più a teatro, ora è diverso. Dopo il 2017, sono tornato l’anno scorso sul palco con M il Figlio del secolo, per il quale Massimo Popolizio ha costruito un momento di teatro nel senso più generoso e complesso e poi quest’anno con il monologo tratto da Una relazione per un’Accademia di Kafka.
È interessante che questo discorso sia molto simile a quello che propone Il ritorno di Casanova, il film di Salvatores: la maturità da ripensare come un momento in cui l’esperienza può anche essere messa a disposizione delle nuove generazioni.
Ma sai io ho avuto delle occasioni che non so quanto un ragazzo oggi possa avere in Italia, anche se auguro di averle. Ma posso dirti che il lavoro che ha fatto qui Felice Laudadio è un lavoro di grande portata, di grande senso, una cosa non da poco. Certo, è una festa, ma soprattutto un progetto culturale! Il lavoro fatto nel tempo per persuadere la comunità che tutto questo è importante: immagino che si possano incontrare anche grandi resistenze e questo mette alla prova il tuo ideale. Ora, c’è chi soccombe, chi continua, esistono davvero tante scelte possibili. Capisco il senso della prospettiva a lungo termine perché avviene nel mio lavoro: come questo Premio dedicato a Alberto Sordi come Miglior attore non protagonista. Supporting actor, per me, è una espressione che vale anche per gli attori protagonisti: si è sempre di supporto a qualcuno o qualcosa in questo mestiere. Anche il protagonista è un attore che supporta. Al di là della durata sullo schermo, sia il protagonista che il non protagonista lavorano per migliorare la propria performance e quella dell’altro, come in una partita di tennis. È bello trovarsi di fronte a un grande giocatore, impari molto e ti sfida a fare bene e anche meglio. È uno scambio. Il grado di complessità di questo gioco, di questo scambio è molto importante per esprimere i criteri di una interpretazione: quanto sai anche aspettare l’altro conta.

Sapere aspettare cambiando forma sembra essere una chiave, ascoltandoti.
È una delle cose più difficili, questa. Se si ha la fortuna di continuare a fare questo lavoro, tra gli alti e i bassi, molti più i bassi rispetto agli alti e riesci a convivere con il fatto di stare calmo, di aspettare e di continuare a impegnarti nel tuo lavoro, questo è una cosa che nessuno ti insegna, impari. Se la vuoi imparare. Anche vedendola negli altri, anche quando non è richiesta. Non esistono corsi di attesa, “come si aspetta”… lo capisci anche dal rapporto con gli altri. Penso che si sia personalmente responsabili di quanto si vuole restare aperti. È un lavoro faticoso. Io poi non parlo in assoluto, parlo per me, naturalmente.
Come fai, da attore, ad accettare le cose che nel tuo mestiere non avvengono?
Dipende. Ogni volta ti devi inventare la risposta. Occorre una grande forza d’animo e non dico di più, si perdono cose peggiori di un film nella vita, ma io sono grato a chi mi ha restituito il senso della mia vocazione nel fare questo lavoro con un certo criterio. Come sempre io mi riferisco a qualcuno che c’è stato prima di me, le parole diventano vere nel momento in cui le esperisci, perché io posso parlarti dell’amore, della morte, siamo tutti d’accordo… ma alla fine è meglio parlare di ciò che si conosce. È molto difficile avere la fortuna di dire qualcosa di originale, poi. Il libro di Jouvet, Elogio del disordine, per esempio, contiene delle regole che sono vere, ma finché non le hai vissute non lo sai dire nel corpo. Ecco perché per me le fonti sono importanti: magari comprendi una cosa in senso intellettuale, ma poi deve passare attraverso il corpo. Ci sono cose che ci ho messo degli anni a capire, nella vita proprio. Ecco, un uomo mi racconta una cosa e diventa vera quando ha mosso la mia vita. Non so di cosa abbiamo bisogno, non mi permetterei mai, posso parlare della mia piccola vita, e non è un assoluto.
Penso sia questa una grande lezione, di formazione. Stare in attesa di qualcosa…
Che potrebbe anche non arrivare mai.
Può anche succedere che non arrivi mai, certo. Ma non è liberatorio ammetterlo?
Ecco, c’è qualcosa che è anche fuori dal nostro controllo, sì. Per esempio, se qualcuno mi chiede come mi sento per questo Premio? È un bellissimo messaggio che a sua volta diventa un messaggio di ringraziamento per chi mi ha permesso di essere in questi film, per restituire quello che si è avuto. Sono in debito di gratitudine con chi mi ha ridato il senso della mia vocazione permettendomi di lavorare in questi film o guardandomi, proprio come il Bif&st e Felice Laudadio.

Di cosa pensi di avere bisogno in questo momento per il tuo mestiere di attore?
Non so, onestamente sento che non è una cosa che so dirti in questo momento. Già quello che è accaduto per me è miracoloso, perché non avrei mai immaginato di fare un film come Nostalgia io che non sono napoletano, per la difficoltà che quel ruolo comportava visto il punto in cui quella figura compare nel film. E poi la commedia drammatica di Virzì, Siccità, senza escludere Ti mangio il cuore che mi ha permesso di conoscere altri aspetti del mio luogo di origine che io non conoscevo.
Del resto, lo dicevi nove anni fa: sono nella mia terra anche quando non sono lì.
Sì, è un ritorno a casa ma nel mito, non soltanto nella terra in sé, attraverso il film è un processo ben diverso. È più legato a qualcosa che va oltre te e accade proprio attraverso un tuo apporto, una collaborazione per la quale eri in attesa, senza sapere di esserlo.