Ingeborg Bachmann – Reise in die Wüste: il buon Dio dell’assoluto

Der Krieg wird nicht mehr erklärt,
sondern fortgesetzt. Das Unerhörte
ist alltäglich geworden. Der Held
bleibt den Kämpfen fern. Der Schwache
ist in die Feuerzonen gerückt.
Die Uniform des Tages ist die Geduld,
die Auszeichnung der armselige Stern
der Hoffnung über dem Herzen.

Ingeborg Bachmann, Alle Tage

«Margharethe ha il dono di fare innamorare tutti di lei e dei suoi film» così Bettina Prokemper, produttrice, ha introdotto la prima proiezione assoluta in Italia dopo l’anteprima mondiale al Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2023 Ingeborg Bachmann – Reise in die Wüste di Margharethe von Trotta al Bif&st 2023 il 25 marzo. È il caso di crederle: si tratta di un film così pieno di grazia da abbagliare, proprio come il primo piano che chiude la narrazione dissolvendosi nel sorriso luminoso dell’attrice protagonista Vicky Krieps scelta da subito, come ha rivelato la stessa regista Von Trotta, per impersonare – proprio incarnare – la poetessa austriaca.

Non c’è un singolo fotogramma che non restituisca il senso pieno della riuscita di quest’opera: Von Trotta ci aveva già conquistato mostrando una via possibile per restituire al mito la biografia di donne autenticamente anticonformiste e militanti, tra l’altro ce ne sono tre in particolare legate tra loro. «Sì, anche Bachmann – ci rivela la regista – ha studiato Heidegger come Hannah Arendt e Rosa Luxemburg e, in effetti, le ho raccontate tutte e tre» ma con Bachmann si arriva alla poesia che è il territorio nel quale si è sempre stranieri perché la logica inesatta compie la risoluzione dell’impossibile. E la poesia o è tutto o è niente, non conosce vie di mezzo, perché la poesia è il miracolo. Come restituire l’incanto con il cinema? Bisogna essere poeti per tradurre un poeta, ci ricorda Ungaretti (qui interpretato da Renato Carpentieri), allora Von Trotta è poeta.

Ingeborg si impone con tutto il suo istinto creaturale, indomita, tenera, pronta a pretendere per sé l’amore e affascinata dagli uomini, ma soprattutto capace di prendersi una rivincita su tutti i piccolo-borghesi che l’hanno sacrificata, compreso Max Frisch (Ronald Zehrfeld) con il quale ha una tormentata relazione: sono questi gli anni che la regista ha scelto come pretesto narrativo, incastrando nella fine di questo amore il viaggio nel deserto. E il tormento è proprio una questione politico-sociale: Frisch fatica ad accettare lo splendore, non riesce a stare nel cono d’ombra delle parole di Ingeborg, non accetta un’intelligenza che ha anche il potere di farsi comprendere e di offrire visioni, come Von Trotta indica con l’inquadratura impietosa, ma non retorica, sui reduci che ascoltano il discorso di Bachmann quando ritira il Premio Ciechi di Guerra nel 1959. «Sì, è un po’ estrema quella frase di Ingeborg: il fascismo è nella relazione tra uomo e donna, è sempre guerra in una coppia. Però lei lo dice in un tempo in cui le donne non erano viste come esseri indipendenti e intelligenti, io non lo direi per me stessa, ma ho trovato interessante che lo abbia pensato e detto. Credo che lei volesse essere protetta da Frisch, ma essere protetta non significa perdere la libertà e l’indipendenza» ci spiega la regista.

Uno scrittore, infatti, protegge proprio nel cercare sempre ciò che è giusto: non può fare finta che il dolore non esista e deve pretendere la verità. Queste due consapevolezze agitano il volto ossimorico di Ingeborg che è spigolosa e delicata, fremente e pacifica, mite e vorace. Tutti concorrono a sostenere la scrittura e la regia di Von Trotta che dosa i movimenti di macchina con la sapienza di sempre, restituendo come in un dipinto sincero e vitale il coraggio di esistere di Bachmann che sa avere dubbi.

Il viaggio nel deserto diventa così un viaggio nella solitudine che perde i connotati stereotipati del territorio desolato e acquista il nitore dell’abbaglio, il peso leggero (e insostenibile) dell’essere in una forma assoluta. Non a caso, la regista sceglie i versi di Al sole per portare all’acme la narrazione che ha attraversato sei diversi Paesi. Tra prefigurazioni e memorie di morte (la candela che cade durante la festa sul grembo di Ingeborg infiammando l’abito senza provocare in lei null’altro che una dolorosa constatazione) Von Trotta ci restituisce un negozio di sogni, tra ombre, rose (e ancora) ombre.

ARTICOLO DI IRENE GIANESELLI FOTO IN COPERTINA DI NICOLE SERINO

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