Barbora Bobuľová al Bif&st 2024: gli uomini stiano al passo delle donne

Bisognava rivedere Il sol dell’avvenire al Bif&st 2024, a quasi un anno dalla sua uscita nelle sale (era il 20 aprile 2023). Bisognava rivederlo in un contesto festivaliero, dopo tanti premi e tanti altri Festival in giro per il mondo, perché si rivela ancora di più come un ritratto spietato del sistema-Italia. Il regista-Nanni-Giovanni protagonista e narratore sembra trastullarsi con l’ironia, ma in realtà la usa contro lo spettatore (anche e soprattutto contro quello professionista). No, Il sol dell’avvenire non è semplicemente una dichiarazione d’amore per il cinema tout court. Del resto, come si potrebbe davvero amare la celebrativa, fastidiosamente nostalgica, autoreferenziale, sessista e patriarcale, banale contemporaneità?

Allora ecco il genio: Nanni Moretti sembra celebrare sé stesso, ma si decostruisce, svela la propria insofferenza nei confronti non tanto dei fallimenti in sé, ma nei confronti di chi si piange addosso dopo avere fallito (e l’allusione a una certa sinistra è inequivocabile).

Così, l’aspetto più interessante del film non è il ribadire che persino nello squallore si può scegliere di schierarsi con le minoranze, proprio come il regista spiegava già nel 1993 in Caro diario a Giulio Base fermo al semaforo rosso: “Io credo nelle persone, ma non credo nella maggioranza delle persone”.

L’aspetto più interessante de Il sol dell’avvenire sono i personaggi femminili: le donne sono sovversive. Sono loro a cambiare i piani e gli esiti di una consapevolezza che rischierebbe di risolversi nel suicidio del protagonista, proprio come accade in San Michele aveva un gallo dei Taviani (1972) che viene citato tra gli altri. Sono loro a decidere di troncare relazioni, innamorarsi, continuare a lavorare.

E Il sol dell’avvenire è un film “sovversivo” perché Moretti afferma che non si può restare da una parte accettando il male in virtù di questa cieca appartenenza. Bisogna disobbedire. E quindi mette in discussione la stessa industria cinematografica (dalla produzione alla distribuzione, passando per la critica). Come Moretti suggerisce, bisogna opporsi e reagire alla cultura moderatista che resta sospesa tra il fascismo e la retorica da libro Cuore, quella che ignora che “poetico” è “politico”. Quindi bisogna opporsi anche alla retorica che vorrebbe ridurre le donne a soggetti passivi della molestia, verbale o fisica che sia, del “viril maschio italico”. A quella retorica, che sta a destra come a sinistra, diciamo che no, non fa ridere e che di virile non ha proprio nulla… quanto all’italico lasciamo ai posteri l’ardua sentenza.

Il ruolo doppio che Barbora Bobuľová interpreta, quello dell’attrice del film nel film che a sua volta recita la parte della compagna di partito Vera (una specie di matrioska), è fondamentale per capire questa dinamica. Nella trama del film nel film è Vera, infatti, che spinge Ennio (Silvio Orlando) a rifiutare la linea dell’Unione Sovietica e a schierarsi dalla parte dell’Ungheria che subisce l’invasione. Nel plot fuori dalla finzione è l’attrice a spingere il regista-Giovanni-Nanni a modificare il finale, a scegliere quindi di raccontare la Storia partendo da un “se”.

Se il PCI si fosse reso indipendente dall’Unione Sovietica opponendosi all’invasione dell’Ungheria che ne sarebbe stato del sogno di Marx e di Engels?

Quando chiedo a Bobuľová cosa ne pensa di questa ipotesi mi risponde che «sicuramente le donne sono le portatrici del cambiamento in assoluto e quindi anche nel film di Nanni è la donna che porta il regista a cambiare idea. Io ho molta fiducia nelle donne, a piccoli passi faticosamente stiamo andando avanti. Anche se ogni due passi avanti ce n’è uno indietro. C’è un panorama di registe molto interessanti da Alice Rohrwacher e Susanna Nicchiarelli a Lyda Patitucci… penso poi ad Anatomia di una caduta diretto da Justine Triet, ma anche al lavoro di Greta Gerwig. Sono molto felice per noi, per questo “nostro” momento». Chiedo a Bobuľová, che dopo il Nastro d’Argento ritira al Bif&st il Premio Alida Valli, a cosa devono stare attente le donne, se ci sono dei pericoli in questo momento apparentemente positivo. «Si tratta di una evoluzione. La donna di oggi, io credo, ce la sta mettendo tutta. L’uomo no, forse e questo è il punto: fino a che non saranno gli uomini a mettercela tutta, noi faticheremo. Ma noi dobbiamo continuare così. Alcuni uomini si devono rendere conto che devono accelerare, stare al passo. Sì, pure le guerre le fanno gli uomini. Le donne poi si trovano ad avere il compito di ricucire».

E così, in pochi minuti, riesco a vedere meglio l’attrice: non è “solo” bellissima, una “principessa” di Bratislava che Bellocchio scelse per Il principe di Homburg (1997). Mi ricordo che durante la sua masterclass al Petruzzelli ha fatto notare agli intervistatori, Enrico Magrelli e Alberto Crespi, che le attrici hanno tre età: la ragazza, la mamma o la nonna. È ingiusto, solo tre età? Questa osservazione merita di essere ascoltata: il corpo delle donne ha sempre da raccontare, basta solo volerlo ascoltare e il fatto che lo si rinchiuda nella triade stereotipata la dice lunga sul livello di emancipazione delle donne, sociale e politica, nel nostro Paese.

Mentre Bobuľová risponde alle mie domande vedo tutto il suo sforzo per mettere ordine in un tempo contraddittorio, per mantenere un equilibrio e una sincerità che avevo già visto nella sua interpretazione per Cuore sacro di Ferzan Özpetek (2005). Non è cambiata da quella prova intensa e complessa, vorrei chiederle se il cinema (dalla produzione alla critica) riesce a stare al suo passo, ma invece taccio perché non deve essere lei a rispondere a questa domanda. Lei ha già detto tutto con il suo lavoro di attrice.

ARTICOLO DI IRENE GIANESELLI

FOTO IN COPERTINA DAL BIF&ST 2024 © DANIELE NOTARISTEFANO

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