Morabeza: in teatro il canto alla durata di Tosca

Morabeza è un concept album che raccoglie incanti e culture in una giostra poliglotta. Dopo il fermo a causa della pandemia arriverà in teatro in tre tappe attraverso l’Italia e in giro per il mondo: è partito il 30 ottobre da Napoli, ed è già andato in scena con grande successo di pubblico a Roma, Firenze, Milano e Pavia. La seconda parte sarà un giro per l’Europa che si aprirà a Strasburgo il 25 novembre e proseguirà da febbraio 2022 a Dubai e Sharjah. La terza e ultima tappa si chiuderà in tarda primavera ancora con una serie di concerti italiani, nuove date europee tra Spagna, Portogallo, Francia, Germania e poi oltreoceano tra Brasile (in concomitanza dell’uscita del disco sul mercato brasiliano), Uruguay, Paraguay, Perù e Stati Uniti. Noi lo abbiamo incontrato il 14 novembre a Bari al Teatro Forma dove va in scena anche il 15.

Con Morabeza si spia, e si entra in un salotto (sudamericano, rosso ma anche viola, blu e verde a seconda delle luci, certo un po’ stilizzato a metà tra un quadro di Frida Kahlo e gli ultimi film della Pixar che hanno per ambientazione il Messico e la Colombia). È il salotto di alcuni amici che si sono riuniti per parlare dell’amore (di quello finito con pochi rimpianti e celebrato giusto con la sua melodia – perché l’amore che viene è l’amore che va -) e per parlare della nostalgia e del piacere (di quello che si avverte quando si crea uno spazio tra la nave che salpa e il molo).

© Fabio Lovino

Ma Tristezza, per favore, vai via. E, in effetti, era dal concerto di Ornella Vanoni con Vinícius de Moraes e Toquinho (che portarono al pubblico italiano le canzoni di Antônio Carlos Jobim e Chico Buarque) che in Italia non si tornava con quelle intenzioni alle sonorità, all’intimo struggimento sorridente e condiviso, esorcizzato con un battito di mani e dalle percussioni che porta sempre con sé la musica che arriva dal Centro e dal Sud dell’America.

Tosca interviene con un cenno, i musicisti giocano, a ciascuno il suo pezzo di bravura, non si risparmiano e nella serata, che tesse un impalpabile velo di intimità e di voglia di far festa (ancora non troppo esplicita: c’è sempre una pandemia qui tra noi), si regalano momenti di sospensione dalla realtà portando con sé il pubblico.

E allora ecco una lingua (che sia francese, brasiliana, portoghese e tunisina, africana o europea) che si incastra in un’altra, meglio vi scioglie, e diventa suono: il suono della voce (che non a caso è anche il titolo del documentario diretto da Emanuela Giordano durante la precedente tournée internazionale di Tosca), meglio, il suono delle voci diventa un unico canto alla durata, come quello di Peter Handke citato per scandire le fasi di questo concerto in salotto.

E la casa è proprio lo spazio di questa ricerca. La mia casa, tratta dall’album D’altro canto, è proprio la canzone d’apertura al Teatro Forma di Bari il 14 dicembre. La versione originale della canzone è scritta da Francesca Corrias in portoghese e adattata in italiano da Cristina Renzetti. Dov’è casa? Nel luogo del cappotto azzurro di Handke o sulle onde del mare verso un nuovo lido? Nel salotto rosso che è solo scenografia (a cura di Alessandro Chiti) o nel ritrovo faticoso e quotidiano della vita intima che è sempre incostante? Dov’è proprio l’heimat, in nome di quale fede (laica o meno, poco importa, la musica è una delle più alte forme di religione) la si può perdonare per le sue mancanze?

© Fabio Lovino

A tutto questo, come vuole la regia di Massimo Venturiello, sembra rispondere proprio la durata. Che sia breve o di molte misure, può essere in ogni caso intensa e diventare così un fenomeno fisico, come è appunto uno sforzo di tutto il corpo suonare uno strumento o cantare. In scena con Tosca ci sono i talentuosi musicisti diretti da Joe Barbieri: Giovanna Famulari al violoncello, pianoforte e voce, Massimo De Lorenzi alla chitarra, Elisabetta Pasquale al contrabbasso e voce, Luca Scorziello alla batteria e percussioni, Fabia Salvucci alle percussioni e voce. Il loro sforzo comune diventa danza: una danza tra loro e con i rispettivi strumenti.

La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria hanno lasciato la scena alla durata, sintomo del nostro tempo malato e irrequieto, insoddisfatto e tormentato e questo sarebbe un bene, se dopo la durata, se dopo le lacrime custodite nel canto venisse ancora la realtà a scuoterci.

Ma noi, nonostante tutto, amiamo tutto, proprio come Tosca. Se ci chiedete in questa vita cosa facciamo e cosa abbiamo fatto, probabilmente vi risponderemo come lei, sempre in cerca di nuovi territori, di nuove voci, di nuovi sguardi e di nuove culture. Perché la libertà è possibile solo al plurale.

Et par le pouvoir d’un mot / Je recommence ma vie / Je suis né pour te connaître / Pour te nommer / Liberté.

Paul Eluard, Liberté, 1942

ARTICOLO DI IRENE GIANESELLI

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