Architettura musicale e tracce (poli)sinfoniche in The Tree of Life di Terrence Malick

Alberto Spadafora (1977) da Torino è il vincitore della sezione saggio breve Over 35 del III Premio Internazionale di Critica Cinematografica Vito Attolini 2022 con “Architettura musicale e tracce (poli)sinfoniche in The Tree of Life di Terrence Malick” per il tema “Il suono del Cinema: musica, immagini e immaginario”.

Fin dalla sua anteprima mondiale al Festival di Cannes nel 2011 (dove il film riceve la Palma d’oro da una giuria presieduta da Robert De Niro), The Tree of Life di Terrence Malick si offre, in virtù del suo denso e ambizioso statuto d’arte, alle valutazioni più eterogenee dell’analisi e della post-analisi filmiche.1

Esempio immaginifico di reinvenzione e di rigenerazione del cinema contemporaneo, The Tree of Life rappresenta un avanzamento radicale, sia stilistico sia artistico, nella filmografia del cineasta statunitense. Dal punto di vista stilistico, Malick persegue la disgregazione della struttura narratologica e invoca, attraverso la vertigine del montaggio e della fluidità della macchina da presa, un’articolazione libera della grammatica filmica.2

Dal punto di vista artistico, inoltre, il riservato cineasta introduce per la prima volta una traccia autobiografica. Benché senza alcuna linearità narrativa, la quinta opera di Malick segue infatti la storia di una famiglia medio borghese

negli anni Cinquanta del Novecento a Waco (paese natio dell’autore), nel Texas, e destinata ad affrontare il lutto provocato dal suicidio di uno dei figli (lo stesso Malick ebbe un fratello suicida).3 Tra le varie riflessioni su The Tree of Life, una valutazione in termini di architettura musicale e di selezione di tracce di repertorio classico suggerisce ulteriori e inedite considerazioni sul
prodigioso statuto del film.

Tra le varie riflessioni su The Tree of Life, una valutazione in termini di architettura musicale e di selezione di tracce di repertorio classico suggerisce ulteriori e inedite considerazioni sul prodigioso statuto del film. Di fatto, anche musicalmente – come nel caso del travolgente montaggio delle immagini – Malick procede per accumulo e per abbondanza. Oltre alla partitura originale composta appositamente dal Maestro francese Alexandre Desplat, Malick seleziona e inserisce molteplici brani della cultura musicale classica, la cui ampia varietà consolida The Tree of Life quale «film filosoficamente stereofonico».4

Da sempre colto estimatore musicale e pertanto attento selezionatore dei brani a corredo delle colonne sonore dei suoi film, Malick inserisce Gassenhauer da “Musica Poetica I” di Carl Orff ne La rabbia giovane (1973), Acquario da “Il carnevale degli animali” di Camille Saint-Saëns ne I giorni del cielo (1978), In Paradisum da “Requiem Op. 48” di Gabriel Fauré ne La sottile linea
rossa
(1998) e Preludio da “L’anello del Nibelungo. L’oro del Reno” di Richard Wagner in The New World – Il nuovo mondo (2005). In The Tree of Life Malick impiega invece molteplici partiture di altrettanti compositori, con l’obiettivo evidente di restituire un universo musicale (poli)sinfonico che non pareggi, ma oltrepassi e trascenda, la prosa verbale e visuale.5

La selezione di tracce preesistenti include brani di Gustav Mahler (Primavera senza fine da “Sinfonia No. 1 in Re
maggiore”), Bedřich Smetana (La Moldava da “La mia patria”), Hector Berlioz (Agnus Dei da “Requiem Op. 5”), Ottorino Respighi (Siciliana da “Antiche arie e danze per liuto. Terza suite”), Johannes Brahms (Andante moderato da “Sinfonia No. 4 in Mi minore, Op. 98”), Robert Schumann (Allegro affettuoso da “Concerto per pianoforte in La minore, Op. 54”), Johann Sebastian Bach (Preludio e fuga a 3 voci in Do minore da “Il clavicembalo ben temperato. Primo libro”), François Couperin (Le Barricate Misteriose, da “Pezzi per clavicembalo. Secondo libro, No. 5”) e Henryk Górecki (Lento e largo – Tranquillisimo, da “Sinfonia No. 3, Op. 36 – Sinfonia di Canzoni Imploranti”).


Nello sterminato spartito (poli)sinfonico classico, la traccia musicale utilizzata per la celebre parentesi cosmogonica si distingue invece per contemporaneità e valore. Nella sequenza della creazione dell’universo Malick impiega il brano Lacrimosa dal “Requiem for My Friend” che, alla prematura scomparsa di Krzysztof Kieślowski, il Maestro Zbigniew Preisner compone nel 1994 in occasione della messa funebre del cineasta polacco. Lacrimosa, per coro e orchestra, assurge in The Tree of Life a significativo commento sonoro del lento processo di creazione, formazione e distruzione – quindi di vita e di morte indissolubilmente intrecciate. Come l’etica laica perseguita e interrogata da Kieślowski, Malick sceglie il brano di Preisner per evocare una visione altrettanto laica (e musicale) dove, essendo ancora assente l’uomo, è assente alcuna interferenza di credo. Non a caso, il Big Bang è temporaneamente avvolto da Malick in un silenzio distante, che echeggia un suono lontano e sordo: «Non udiamo nessun boato dell’esplosione. Come a dire: non vi fu alcun fragore in quegli istanti, perché nessun uomo era lì ad ascoltare».6

La smisurata opera di Malick si dipana e si riconcilia poi nella memoria di un (con)testo terrestre e familiare. I ricordi d’infanzia rivissuti nella solitudine degli anni Zero da uno dei figli adulti, forse il regista stesso (Sean Penn), modellano l’ampia cornice del film e sembrano provenire da una fossa d’orchestra (talora detta anche “abisso mistico”, non a caso).7

In The Tree of Life il cineasta texano coniuga una straordinaria ricchezza di partiture musicali la cui architettura (poli)sinfonica non sarà riproposta nei suoi successivi lavori.8

È in occasione del film del 2011 che, infatti, lo stile malickiano approda alla definitiva espressione di un teorema non solo filmico e intimo, ma anche musicale.

1Limitatamente all’Italia, ricordiamo ad esempio le parole di Maltese («Quando l’arte è capace di tanto, bisogna
smettere perfino di parlare di cinema o musica o pittura: diventa un’esperienza di vita», Curzio Maltese, The Tree of
Life, «La Repubblica», 17 maggio 2011, p. 62) e di Barbera («Non credevamo più possibile ritrovare al cinema […] uno
sguardo capace di reinventare […] profondità insondabili», Alberto Barbera, The Tree of Life, «La Rivista del
Cinematografo», n. 6, giugno 2011, p. 54).


2Alcuni parziali segnali di rottura della coerenza visiva e di «ricentramento permanente del flusso filmico» sono
presenti già nella precedente opera di Malick, The New World – Il nuovo mondo (2005), come ricorda Jean-Michel
Durafour in Le Nouveau Monde de Terrence Malick: quelques propositions pour un cinéma de l’anti-regard (2006),
riproposto, nella traduzione italiana di Stefania Lonoce, in Id., Sguardo decentrato, inquadrature disconnesse. The New
World
, in Costanzo Antermite, Gemma Lanzo (a cura di), Terrence Malick, «Moviement. Rivista di cultura
cinematografica», n. 2, 2009, pp. 58-70.

3Ricorda Fantuzzi: «Nel 1968 Larry, il minore dei tre fratelli Malick, mentre è in Spagna per studiare chitarra classica
con Segovia, in un momento di depressione […] si frattura volontariamente entrambe le mani e poco dopo si suicida.
Sembra che, dopo la notizia dell’incidente alle mani, Terrence sia stato invitato dal padre ad andare in Spagna per
recuperare il fratello. Dopo il rifiuto di Terrence, il padre parte troppo tardi per la Spagna, da dove ritorna con il
cadavere del figlio», Virgilio Fantuzzi, «The Tree of Life» di Terrence Malick, «La Civiltà Cattolica», n. 3871, ottobre
2011, p. 53.


4Silvio Danese, The Tree of Life, «La Nazione», 18 maggio 2011.

5Nei film antecedenti The Tree of Life «la dimensione sonora ha una rilevanza pari a quella delle immagini», Giorgio
Piumatti, Polifonia di voci, poema di suoni. La musica e la voce nel cinema di Terrence Malick, in Antermite, Lanzo (a
cura di), Terrence Malick, cit., p. 42. Il corsivo è mio.


6Luca Barnabé, Il quinto elemento, «Duellanti», n. 71, luglio 2011, p. 21.

7Dal tedesco “mystisches abgrund”, espressione con cui Richard Wagner chiama lo spazio destinato agli orchestrali del
teatro.


8Dopo The Tree of Life, Malick scrive e dirige To the Wonder (2012), Knight of Cups (2015), il documentario Voyage
of Time
(2016), Song to Song (2017) e La vita nascosta – Hidden Life (2019).

Alberto Spadafora è laureato in Comunicazione Multimediale e di Massa presso l’Università degli Studi di Torino, è dottore di ricerca in Lingue, Letterature e Culture in Contatto presso l’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara. Studioso di Cinema e Cultura Visuale, è attualmente docente di Teoria e Metodo dei Mass Media presso la RUFA – Rome University of Fine Arts. È autore di molteplici articoli su riviste scientifiche internazionali e di vari saggi in volumi collettanei. È autore, inoltre, di La luce necessaria. Conversazione con Luca Bigazzi (Dublino 2014) e di In cielo, in terra. Terrence Malick e Steven Spielberg (Milano 2012).

ARTICOLO DI ALBERTO SPADAFORA

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