Sagace ed incalzante “PIIGS” è un documentario che ha visto la luce nel 2017, dopo cinque anni di indagini sui dogmi economici che influenzano le politiche dell’Unione Europea. Una ricerca importante condotta da tre autori: Adriano Cutraro, Mirko Melchiorre e Federico Greco che hanno incontrato intellettuali, scrittori ed esperti di economia. Le voci di Claudio Santamaria e Willem Dafoe accompagnano le interviste a Noam Chomsky (filosofo e linguista, definito dal New York Times “Probabilmente il più grande intellettuale vivente”), Yanis Varoufakis (ex ministro delle finanze greco), Stephanie Kelton (economista capo del budget del senato degli Stati Uniti e consulente economico di Bernie Sanders), Warren Mosler (economista e imprenditore), Paul De Grauwe (London School of Economics), Erri De Luca (scrittore). Nel 2009 Adriano Cutraro e Mirko Melchiorre hanno fondato Studio Zabalik, una società di produzione con la quale hanno realizzato come autori anche “All’ombra del gigante”, un documentario presentato al Taormina Film Festival nel 2013, premio della critica al Festival Internazionale del Cinema Documentario “Marcellino De Baggis” e miglior opera al Gold Elephant World. Federico Greco, che intervistiamo in occasione dell’uscita del volume PIIGS. Ovvero, come ho imparato a conoscere l’austerità e a preoccuparmi (Ginko Edizioni 2020) che racconta la storia del documentario, ha esordito come autore e regista nel 1999 con “Stanley and Us”, documentario su Stanley Kubrick prodotto dalla RAI e distribuito nel mondo da RAITRADE. Dopo aver realizzato diversi documentari per la RAI, nel 2004 ha scritto e diretto il suo primo lungometraggio “Il mistero di Lovecraft”, distribuito da 01, Rarovideo e Paramount e selezionato nei più importanti Festival internazionali. È regista, sceneggiatore, montatore.
Hai detto una cosa molto importante a Matera, presentando il tuo libro al Premio Energheia 2020. Hai detto “Premetto che questo è un documentario di sinistra. Non è partitico, ma chiaramente non è un documentario che strizza l’occhio ai sovranisti e alle destre”. Comincerei da qui per raccontare PIIGS, da una premessa necessaria in un momento di diffusa superficialità e scarsa capacità critica.

Qualunque movimento di destra, storicamente, ha sempre fatto gli interessi del capitale. Sovranismo è un termine che oggi viene usato dalla stampa della sinistra finanziaria (da Repubblica al Manifesto) per attaccare Salvini e i veri socialisti sovranisti costituzionali, buttando il bambino (il concetto sacrosanto di sovranità) con l’acqua sporca (l’ossessione della lotta contro il centrodestra attuale). Perciò sovranismo oggi ha finito per significare becero nazionalismo, imperialismo, fascismo. Immaginiamo quindi la confusione (più o meno voluta) di chi dà del sovranista a Marco Rizzo, per esempio. L’utilizzo di questo termine è nato, come direbbero gli sceneggiatori di Boris, “Così, de botto, senza senso”. Eppure è utilizzato anche da sedicenti fini pensatori di sinistra che non si rendono conto (?) di fare il gioco dei loro stessi nemici. Se glielo fai notare ti dicono: “Eh ma io che ne so di queste distinzioni, non stiamo a spaccare il capello per favore”. Fini pensatori, ma ipocriti. Non c’è nulla più di sinistra, invece, della sovranità: monetaria, territoriale, linguistica, economica, culturale. Impossibile infatti difendere lo stato sociale, i diritti dei lavoratori, l’adeguatezza degli stipendi, le pensioni minime, l’occupazione se non usando gli strumenti messi a disposizione da una Banca Centrale emettitrice di moneta per conto dello Stato, soprattutto con una Costituzione come quella italiana. Marx diceva: “Lavoratori di tutti i Paesi, unitevi!” (“Proletarier aller Länder vereinigt Euch!”), non “di tutto il mondo” (versione diffusa in Italia da Togliatti). Non c’è alcuna contraddizione infatti tra sovranità e internazionalismo proletario. Entrambe hanno a cuore il bene dei lavoratori. La Lega ha a cuore l’interesse dei lavoratori? A me non pare. Quindi certo che sì: PIIGS è un film politico e di sinistra (se questo termine vale ancora qualcosa, ma insomma ci siamo capiti), una pecora nera, un unicum in uno scenario in cui la sinistra è scomparsa dai radar e pensa e parla come le impone di pensare e di parlare il capitale più gretto, di cui l’ordoliberismo dell’Unione europea è il fronte più agguerrito.
Se non ci occupiamo della macroeconomia, la macroeconomia si occuperà di noi. Hai detto anche questo e lo spiegate bene nelle prime pagine del libro. Allora ti chiedo: da dove cominciare per studiare?

Possibilmente non da un testo di macroeconomia. Proporrei uno dei più bei libri di sempre: un romanzo, un’indagine giornalistica, un paphlet politico in difesa degli ultimi: Furore di John Steinbeck (1939). Una storia che ritorna sempre più attuale, quella della famiglia Joad in viaggio attraverso gli Stati uniti alla ricerca di un lavoro ma che invece incontrerà solo miseria e sfruttamento. Poi – usando il metodo dell’affascinante libro di Giulio Cingoli (Il gioco del mondo nuovo) – salterei a Keynes, che in quegli stessi anni offrì a F. D. Roosevelt la chiave per combattere la devastante crisi economica nata nel 1929. La ricetta dell’economista britannico era opposta a quella che ci sta imponendo l’Unione europea dal 1992, e si basava su maggiore deficit, cioè, appunto, il contrario dell’austerità. Perciò leggerei il suo (di Keynes) Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta (1936). Per il terzo libro di almeno un altro centinaio, che qui non c’è modo di elencare, dobbiamo fare un salto di circa 50 anni: è strettamente collegato ai primi due, ed è stato scritto dal più grande economista italiano, Federico Caffè: “In difesa del welfare state” (1986). Uno dei pochi a pensare l’economia ad altezza d’uomo. Sembrerà un paradosso, ma pochissimi esperti considerano e trattano l’economia come una ‘scienza umana’, come uno strumento al servizio del benessere dell’umanità. Questa aberrazione, sulla quale si basa più o meno consapevolmente l’Unione europea, si chiama economicismo. Pochissimi, infatti, sono i libri che consentono di comprendere il profondo legame che c’è tra macroeconomia e destino dell’uomo. Un testo (libro, film, musica) che fosse in grado di farlo (forse c’è riuscito Debito. I primi 5.000 anni di David Graeber) dovrebbe sortire l’effetto di Interstellar, che riesce a sciogliere l’aporia che (s)collega le due grandi teorie della fisica del ‘900, quella gravitazionale e quella quantistica. Teorie che sul mero piano matematico si escludono a vicenda e che invece il film di Nolan riesce a coniugare, narrativamente, in maniera inedita e – come direbbe con disprezzo qualche spettatore superficiale o fisicistico –romantica. D’altronde uno dei più grandi filosofi del ‘900, Paul Ricoeur, affermava in Tempo e racconto che “le aporie del tempo possono essere illuminate solo dalla narrazione”. Non a caso PIIGS tenta una sintesi storico-politica-economica di quanto stiamo dicendo, mettendo insieme l’alto e il basso, la macroeconomia e la vita di tutti i giorni: la divulgazione saggistica e la narrazione, appunto. Infine, prima di affontare i pilastri, cattivi e buoni (Marx, Chomsky, De Grauwe, Forstater, Friedman, Gallino, Giacchè, von Hayek, Lerner, Minsky, Mody, Kelton, Weber, Wray…), due immersioni di preparazione tecnica: Il più grande crimine, di Paolo Barnard e L’economia spiegata facile, di Costantino Rover.
Facciamo un bilancio. Ci incontriamo dopo anni di ricerche, un documentario e ora anche un libro. Cosa è successo all’Europa in questo periodo?

Oggi l’Europa è nuda, come il re della fiaba di Andersen. E “le abbiamo visto tutti il culo”, come alla scimmia del quarto Reich nella canzone di De André. L’inganno è chiaro come non mai. Faccio un breve esempio: quando, causa Covid-19, è stato stabilito di sospendere il “Patto di stabilità e crescita” in tutta l’Unione (ne parliamo nel libro), perché c’era (e c’è ancora) bisogno di crescita, si è capito che il Patto, evidentemente – come diciamo da anni, inascoltati – procurava decrescita. Altrimenti non lo avrebbero sospeso. Io dico “si è capito”, ma in realtà non sono sicuro che tutti abbiano capito. E infatti siamo tra i popoli più ignoranti di economia, finanza, e macroeconomia. Faccio un altro esempio: mentre è di mastodontica evidenza che lo Stato italiano non ha alcun problema a finanziarsi sul mercato nelle aste dei titoli di Stato (ne emettiamo sempre molti di meno di quanti ce ne vengano richiesti e a tassi sempre più bassi, e nessuno ci chiede nulla in cambio se non gli interessi), crediamo che l’unico modo per avere liquidità sia quello di ottenerla da un meccanismo, il MES, che in cambio di soldi (che deve procurarsi sul mercato invece che, come la BCE, stampando moneta dal nulla) chiederà interessi e ulteriori tagli alle pensioni e al lavoro, ulteriori tasse, ulteriori riforme lacrime e sangue. Questa contraddizione accade davanti ai nostri occhi ma non ce ne accorgiamo: il piano emergenziale di acquisto di titoli di stato della BCE (PePP) andrà avanti fino a giugno del 2021, e noi stiamo fremendo per il MES.
Esiste la democrazia? Siamo ancora allo zero radicale, citando Varoufakis?

Mi pare evidente che questa crisi, come tutte le crisi, sia cavalcata da chi ha il potere di approfittarne. Di solito quando qualcuno è in difficoltà economiche è il momento dell’usuraio. La Commissione europea, per conto degli interessi finanziari delle lobby che la guidano, ha sentito l’odore del sangue e si sta catapultando sui portafogli dei cittadini europei. I cittadini europei più ricchi, detentori del maggior risparmio privato e del minor debito privato, sono quelli italiani. Per non parlare degli assets industriali strategici (vedi la recentissima acquisizione del 51% del porto di Trieste da parte tedesca). Quando lo Stato arretra, avanza la mafia. Quando la crisi morde e contemporaneamente lo Stato viene costretto ad arretrare (come ci impone l’Ue da trenta anni con la complicità delle nostre istituzioni, in una morsa a tenaglia fatta di vincolo esterno e interno), avanza la mafia della finanza. Più sono i poteri finanziari a determinare le nostre vite, più la democrazia arretra. Da questo punto di vista allora sì, la democrazia è ormai sotto zero.
Quale antidoto abbiamo prima che il neoliberismo ci faccia mettere in vendita anche l’anima? (Ammesso che non sia già accaduto…)

Ho il sospetto che sia troppo tardi. Le ragioni del capitalismo finanziario predatorio sono state ormai introiettate, non le riconosciamo più come un elemento estraneo alla democrazia, le difendiamo senza sapere che ci porteranno al collasso definitivo. Un antidoto ci sarebbe stato ma appunto, è troppo tardi: leggere i trattati europei prima di firmarli. Voi leggete il contratto del mutuo che vi propone la vostra banca? Ovvio che sì, non volete trovarci sorprese. E quando non lo avete letto, magari per mancanza di tempo, la sorpresina non ha quasi mai tardato a manifestarsi. Qualcuno ricorda di aver letto i trattati di Maastricht o di Lisbona prima di accettare che i nostri rappresentanti li sottoscrivessero? O lo statuto della BCE? No, non lo ricordate, perché non li abbiamo letti. E la sorpresina ce la siamo ritrovata anche noi. D’altra parte non riesco ad accettare questo determinismo e continuerò a lottare come se non avessi neppure pensato quanto scritto fin qui.
C’è una nuova crisi adesso, è quella causata dalla pandemia. Che cosa ti aspetti a partire da quello che hai studiato, cosa credi accadrà all’Europa e all’Italia?
Come anticipavo, mi aspetto un ancor maggiore potere degli usurai (le istituzioni europee che contano, e quindi non il Parlamento europeo, notoriamente privo di qualunque significativo potere). Il Covid ha reso la crisi, preesistente, una crisi ben peggiore di quella del 1929. E non vedo nessun Keynes all’orizzonte in posizioni di potere, solo portatori di interessi contrari all’interesse generale.
Il ritmo del vostro libro è serrato, è una sceneggiatura, è un diario di bordo, è un lavoro di ricostruzione e di resistenza. Ancora una volta è un lavoro a tre voci. Come avete costruito il volume?

Cercando di replicare il linguaggio del film, che tu hai così ben descritto. In particolare abbiamo notato che molti si chiedevano come fossimo riusciti a realizzare quello che è stato definito il “documentario-evento italiano” del 2017, e ne abbiamo raccontato il dietro le quinte, a volte drammatico, spesso esilarante. E poi sentivamo di dover aggiornare le riflessioni economiche, soprattutto perché ci è capitato di scriverlo durante i lunghi mesi del Covid-19 quando, come dicevo, è calato definitivamente il velo di Maya sulla reale struttura dell’Unione europea e dell’euro. Non c’è dubbio che se i partiti al governo negli ultimi dieci anni non avessero tagliato decine di miliardi alla sanità pubblica avremmo affrontato la pandemia con maggiore risoluzione e ci sarebbero stati molti meno morti. Sono gli stessi (gli stessi) che adesso sbraitano che “Dobbiamo prendere il MES! Serve alla sanità pubblica per il Covid!”
C’è un episodio in particolare che ricordi della lavorazione del documentario che per te è particolarmente significativo?
Direi piuttosto che, guardandomi indietro, trovo significativo l’intero periodo della realizzazione, una specie di spartiacque nella mia vita personale e professionale, per diversi motivi. In particolare ho compreso – pur non essendo la prima volta che affronto un “documentario impossibile” (il primo fu quello che ho co-diretto nel 1999 su Stanley Kubrick) – che se metti tutte le tue energie su qualcosa in cui credi (per crederci mi bastava ascoltare la mia rabbia) alla fine il “miracolo della creazione” può avvenire.