
Le marionette sprigionano una fascinazione tutta particolare. La loro essenza si perde in remoti feticci ancestrali, per diventare uno dei modi con cui l’uomo ha sentito l’esigenza di rappresentare un altro da sé per trasfigurare paure e desideri nel mito, in sfere fantastiche popolate da demoni ed eroi, divinità e genti. Quest’eco si riverbera nell’inquietudine che riescono a emanare i volti e gli sguardi fissi delle marionette. Le loro espressioni senza tempo sembrano quasi racchiudere tutte le storie che hanno raccontato, secolo dopo secolo, stratificazione dopo stratificazione. È in questa forza evocativa che il feticcio sembra risorgere, per rendere credibile in scena, così come nell’immaginazione, ciò che altrimenti sarebbe improbabile o goffo, per ricrearsi viatico per auscultare il profondo, per perdere la concretezza greve del reale e spalancare i confini dello stupore e del meraviglioso.
Alfonso Cipolla
Blu. Così ho battezzato la marionetta-sposa che Alfonso Cipolla (il Direttore dell’Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare di Grugliasco, in Provincia di Torino) mi ha generosamente dato in affido e che mi ha suggerito di entrare nel mondo della fiaba, cercandovi gli aspetti misteriosi, magici, onirici. Durante questa pausa forzata – che ha svuotato e rinominato di nuovi significati la parola tempo – Blu ha acceso in me il desiderio di lavorare (nuovamente) sull’osservazione, sull’immaginazione, sulla scrittura del corpo, sulla temperatura delle emozioni, sulla vulnerabilità del presente, e sul silenzio.
Durante i giorni della quarantena, nel maggio 2020, ho allestito – con materiali di recupero – una sorta di teatrino in miniatura fatto in casa, un piccolo spazio di creazione che è diventato luogo immaginario, cornice, castello, isola, casa dentro la casa, dove Blu ed io abbiamo iniziato una vera e propria sperimentazione da camera.

Nulla è stato detto tra noi, la musica del silenzio ha sostituito quella delle parole, ci siamo fidate del solo contatto fisico, attraverso la creazione di quadri in movimento, di piccoli scambi di sguardi, nella graduale costruzione di una gestualità che potesse farci tornare molto indietro nel tempo, portandoci in un altrove, non più qui, ma nel luogo in cui i bambini incontrano la fiaba, e ogni cosa, ogni scelta, ogni conquista diventa possibile.
Fin da subito, Blu si è mossa con disinvoltura, traducendo in movimento il respiro dei miei gesti, come una danzatrice incantata, come una creatura pienamente cosciente, mossa da geometrie fluide e armoniose.
Blu è misteriosa, bella, delicata nella sua assoluta presenza. Nella danza che abbiamo condiviso passo dopo passo, talvolta è stata lei a cercarmi, a mettermi alla prova, a indicarmi la direzione, a provocare improvvisi spostamenti di sguardo, a confondermi, ma sempre con precisione. Oggi la osservo, e cerco di ipotizzare la traiettoria di un possibile futuro insieme: Blu è nelle mani che raccontano, nella musica che si fa danzare, nei piedi che disegnano passi e non si stancano di immaginare un futuro. Blu mi guarda e sembra volermi suggerire un gesto, un sorriso, un abbraccio lieve. Blu è una sposina ribelle in cerca di una chiave per aprire lo scrigno segreto e fuggire all’inganno, è una fanciulla senza paura che in punta di piedi entra nella stanza del mistero e scopre la notte, è una donna di oggi con una valigia piena di sogni infuocati che nessuno conosce. Con lei forse un giorno costruirò un racconto sull’amore, sul potere, sul riscatto – e soprattutto – sulla liberazione. Ecco sì, la liberazione, qualcosa che oggi sento premere da ogni fianco, come un guizzo, un salto inarrestabile, un soffio di vento.
ARTICOLO DI SILVIA BATTAGLIO
©Biancateatro/silviabattaglio, fotografie © D. Rizzo
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