Silvia Battaglio è autrice, regista, formatrice. Studia danza classica, contemporanea e teatro-danza, attivando poi importanti collaborazioni con Julia Varley e l’Odin Teatret di Eugenio Barba. La sua cifra stilistica ed espressiva si esprime nella sua Compagnia Biancateatro.
«Attraverso la rielaborazione drammaturgica dei grandi classici, la ricerca mi suggerisce una costante riflessione sul tempo presente, spesso intriso di contraddizioni e chiaroscuri, in cui talvolta grazia e aridità convivono innescando un possibile processo creativo. Nello studio della relazione prossemica con lo spazio e con gli oggetti di scena, nella rielaborazione dei testi, nella costruzione delle immagini, nell’essenzialità degli elementi scenografici che – unitamente alla parola e al movimento – vanno definendo la drammaturgia delle mie creazioni, nasce e si consolida una cifra artistica volta alla rivisitazione delle più affascinanti figure archetipiche, con l’intento di tradurre in atto teatrale quelle memorie e quei sentimenti collettivi che solo i grandi classici – nella loro intramontabile contemporaneità – sono in grado di suscitare. Ascoltare, denudarsi, avere fiducia, condividere, comunicare, stimolare riflessioni; tutto questo fa parte del prezioso valore catartico dell’arte che vive in ognuno di noi attraverso la sublimazione degli aspetti più comuni della nostra vita» parla così della sua poetica Silvia Battaglio che in questa intervista racconta del suo progetto Orlando. Le primavere, secondo capitolo della Trilogia dell’identità.
Raccontaci il tuo percorso.

Il mio percorso trae origine da un linguaggio ibrido che nel tempo si è costruito e codificato inserendosi tra la danza e il teatro, ed è da sempre nutrito da una profonda necessità creativa che mi guida in quella che per me rappresenta la via della sperimentazione e della ricerca. Il lavoro di creazione si è sviluppato negli anni principalmente attraverso la rivisitazione dei grandi classici, nell’esplorazione di tematiche quali l’identità, il potere, la famiglia, la diversità e le relazioni, con una particolare attenzione all’analisi di quelle figure archetipiche in grado di suscitare in me interessanti riflessioni sul contemporaneo. Sul filo rosso di questa esigenza creativa, sono nati spettacoli come Ofelia, Un sogno per Maria, Io amo Helen, Verso Elettra, Lolita, Orlando. Le primavere ed altri ancora che hanno potuto realizzarsi anche grazie al sostegno di importanti realtà teatrali quali l’Odin Teatret diretto da Eugenio Barba, Tangram Teatro e Zerogrammi con i quali da molto tempo sono in corso una serie di progetti condivisi. Nel corso del mio iter artistico, nel 2012 grazie al professor Franco Perrelli avvenne quello che fu un episodio molto importante nella mia vita professionale: l’incontro con l’Odin Teatret, Eugenio Barba, Julia Varley (che offrì successivamente la sua preziosa consulenza artistica per Lolita). L’incontro con l’Odin Teatret e la possibilità di realizzare presso l’Odin stesso un lungo periodo di residenza in vista della nuova produzione su cui stavo iniziando a lavorare, Lolita, è stato particolarmente importante perché – oltre a nutrirmi moltissimo sul piano umano e professionale – mi diede la possibilità di sperimentare un modo ‘nuovo’ di lavorare alla messa in scena di uno spettacolo, dal momento che potei pensare, elaborare e costruire Lolita con il dovuto tempo, con la quiete e l’ascolto interiore e totale di cui ogni artista-artigiano necessiterebbe per poter lavorare a una nuova creazione in fase di allestimento. E questo devo dire mi manca molto.
Orlando. Le primavere come nasce?
Orlando. Le primavere è nato come secondo capitolo della Trilogia dell’Identità iniziata appunto con Lolita e che proseguirà con un nuovo lavoro, Ballata per Minotauro, ispirato al romanzo di Friedrich Durrenmatt, il cui debutto è previsto per il 2019. Orlando. Le primavere è un progetto che nasce dal desiderio di approfondire il tema dell’identità connesso a quello del genere – tematica molto “battuta” ai giorni nostri – cercando di farlo però da un’angolazione possibilmente differente, forse meno “moderna” ma certamente contemporanea , sulla base di ciò che è la mia percezione e il mio rapporto con il contemporaneo, che per me è sempre stato identificabile con qualunque forma artistica che aspiri il più possibile a dialogare con bisogni universali e comuni e che – magari per vie espressive diversificate ma comunque tra loro integrate – arrivi in modo epidermico al pubblico, qualunque esso sia. Ispirandomi al romanzo dell’autrice, Virginia Woolf, ho lavorato attraverso un lungo e stratificato processo, tra scrittura fisica e drammaturgica, insieme al giovanissimo attore Lorenzo Paladini. Il progetto ha vinto il Premio Città di Verbania Cross Performance International Award 2016 per poi debuttare al Teatro Stabile di Torino nel Gennaio 2017.
Come quindi si è sviluppato nel tempo questo progetto?

Lo sviluppo dello spettacolo è stato interessante perché durante le repliche che dal 2017 a oggi si sono susseguite, Orlando. Le primavere ha avuto la possibilità di maturare ulteriormente, di crescere ed evolvere, trovando la sua ‘giusta’ cifra, la temperatura ‘esatta’ che cercavo, spogliandosi di tutto ciò che non serviva per “raccontare” in modo essenziale, con il corpo e con la parola, ciò che per me era il nocciolo, l’essenza: la metamorfosi interiore di un fanciullo che diventa donna in modo del tutto naturale, senza ostentazioni, riscoprendo naturalmente se stesso/se stessa, nella sua autentica unicità.
Qual è il tuo rapporto con la scrittura di Virginia Woolf e come hai lavorato teatralmente sulla sua lingua?
Premesso che amo moltissimo l’immensa scrittura della Woolf, non è stato semplice lavorarci in termini teatrali, proprio perché immensa, ricchissima di spunti, chiavi di lettura trasversali al tema principale, passaggi temporali. Inoltre quella della Woolf è una scrittura estremamente mentale e – pur trattandosi per Orlando di una metamorfosi corporea e quindi di un ‘atto fisico’ – la scrittura della Woolf sa oltrepassare la sfera corporea per arrivare al pensiero puro. Non potevo prescindere dal suo stile poetico, ma allo stesso tempo per poterlo tradurre teatralmente, ho cercato tinte espressive e azioni fisiche che potessero restituire (almeno in parte) le emozioni e i sentimenti suscitati dal lirismo e dalla poetica che la scrittura della Woolf ha saputo suscitare in me.
Cosa significa per te come attrice avere lavorato sull’elemento ormai topico dell’androginia?

Non mi sono volutamente immersa nella tematica dell’androginia battendo strade “facili”, ho cercato di farlo attraverso il ‘racconto metaforico’ di una storia, una storia intima ma universale, di ricerca di sé, attraverso la ‘rappresentazione’ del viaggio interiore di un personaggio complesso e bellissimo che la scrittura di Virginia Woolf ha tratteggiato con una potenza visionaria tale da trascendere il tema stesso, quasi. Mi sono concentrata su ciò che sentivo per me essenziale, seguendo il flusso emozionale della scrittura della Woolf, attraversandone i contenuti e cercando la radice, non ho pensato a cosa gli altri potessero aspettarsi, ho fatto pulizia in me stessa, immergendomi e cercando di essere il più possibile onesta, grazie anche alla serietà e alla generosità di Lorenzo Paladini che ringrazio per essersi offerto al viaggio senza indugi. Un viaggio complesso, profondo, pieno di mistero e scoperta, di cui sono stata molto felice.
ARTICOLO* DI IRENE GIANESELLI
*Questo articolo è stato pubblicato su Globalist.it in una prima versione il 19 gennaio 2018