L’uomo più crudele del mondo è il più disperato dei nostri compagni

L’uomo più crudele del mondo scritto e diretto da Davide Sacco, in scena al Teatro Piccinni di Bari l’11 novembre 2023, è un fatto: il teatro che parla alla polis della polis.

La struttura drammaturgica è coerente e tecnicamente rigorosa, si tratta di un dialogo socratico-platonico tra il male e il suo doppio che attraversa e mette in discussione alcuni sistemi di idee: dal pragmatico neoliberismo contemporaneo che parte dal cinismo sino alla metafisica, giocando con la logica e sperimentando il pensiero debole postmoderno per poi tornare al conflitto dialettico hegeliano irrisolto. La violenza a tratti artaudiana con cui il regista sceglie di trascinare in scena la crudeltà del presente facendola incarnare in due personaggi apparentemente ossimorici ma complementari sta tutta nel non temere di affrontare la vita nella sua irrappresentabilità.

Nella scenografia essenziale, la luce sottolinea l’incontro-scontro tra due personaggi ambigui e ondivaghi: da una parte Paolo Veres, industriale nauseato e lucidamente febbrile interpretato da Lino Guanciale, dall’altra il giornalista schivo, che si definisce “una brava persona” (Francesco Montanari). I due qualunquisti si fronteggiano in quella che dovrebbe essere l’intervista dell’anno alla giovane personalità di spicco dell’industria bellica: Veres produce e vende armi, non vota alle elezioni (mai votato), ma di fatto si schiera offrendo vantaggio ora all’una, ora all’altra potenza europea scegliendosi i clienti più vantaggiosi, gioca a poker indifferentemente con sindacalisti e colleghi industriali (lui figlio di uno stratega che usava il gioco d’azzardo per fare fuori i concorrenti) e l’opinione pubblica ha pensato per lui un epiteto degno di un personaggio omerico. È proprio Veres, infatti, l’uomo più crudele del mondo. Eppure, confesserà al giovane giornalista che si ritroverà coinvolto in quello che potrebbe sembrare un gioco sadico, ma che si rivela un processo privato alla banalità del male, è lui il più disperato dei nostri compagni. La prova di attore di Guanciale è davvero magistrale perché restituisce tutto il processo di pensiero del personaggio, i nervi a fiori di pelle, il malessere e il disgusto per sé e per la propria situazione di essere umano, l’odio e il desiderio di capire l’altro per capirsi, la tensione e la rabbia, il baratro dal quale Veres si affaccia di continuo per darsi coraggio ed essere, sino in fondo, più crudele della crudeltà e superare così, in ogni caso scegliendo, la contraddizione tra compassione e vendetta. La misura di Montanari è nel crescendo: se prima il suo personaggio si fa largo timidamente tra gli scatti nervosi dell’avversario, più Guanciale lo incalza, più tiene il passo sino a mostrare l’esatta natura indicibile del proprio personaggio, fino a quando la maschera della “brava persona” si squarcia per lasciare spazio al volto dell’indecente e del perverso.

Sulle note dei Pink Floyd si spegne l’inizio dell’agone, ma noi non possiamo fare a meno di pensare anche al testo della canzone “Remember when you were young, you shone like the sun. / Shine on you crazy diamond. / Now there’s a look in your eyes, like black holes in the sky”: sono buchi neri, infatti, le coscienze di questi due uomini che forse avrebbero potuto essere diversi, due fratelli-amanti che si affrontano e a tratti persino si attraggono anche fisicamente nella prigionia asfittica di un capannone della fabbrica adibito a ufficio di Veres. Il discorso alla polis sta tutto qui: è mai possibile che un assassino (perché produrre armi significa distruggere mondi e corpi, idee e libertà) si accorga del dolore e della crudeltà solo quando ne fa esperienza intima e privata? Ed è qui che la polis trema, nel comprendere che in questa tragedia senza catarsi nessuno può essere assolto, nessuno è innocente.

Non c’è consolazione per questi personaggi, nemmeno nell’ultimo passo di danza che cita la celebre scena di Zorba the Greek (1964), il film tratto dall’omonimo romanzo di Nikos Kazantzakis, e che potrebbe rappresentare l’ultima possibilità di rifondare la loro umanità. Se davvero l’umanità è un organo, infatti, i suoi tessuti sono in cancrena: sono tutti assassini, siano mandanti, esecutori o opinionisti indifferenti. Questo teatro che parla alla polis della polis costringe a tremare e a prendere coscienza del fatto che siamo complici del Male anche noi se lo prendiamo in considerazione solo quando ci tocca e devasta quello che amiamo. Tornano alla mente le ultime parole che la giornalista Daphne Caruana Galizia scrisse il 16 ottobre 2017 sul suo blog prima di essere uccisa a Malta dalla bomba che fece esplodere la sua automobile: «There are crooks everywhere you look now. The situation is desperate».


ARTICOLO DI IRENE GIANESELLI

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