Perché così cattivi con gli alberi? Quello che raccontano del mondo i boschi feriti del Trentino

Perché così cattivi con gli alberi? / Coi tronchi tremanti che avanzano a quattro zampe, / con le foglioline malate che vi leccano le mani, / coi ramoscelli scodinzolanti? / Oh, non dico che la vita sia sempre la marcia nuziale di Mendelsshon, / ma la colpa non è degli alberi.

Angelo Maria Ripellino, 28., Notizie dal diluvio, Sinfonietta, Lo splendido violino verde, Torino, Einaudi, 2007

Io ho imparato ad andare per boschi prima di imparare a starmene buona nel traffico delle grandi città. Ho imparato il silenzio prima dello strimpellare di voci e di insulti metropolitani. Ho imparato la solitudine, quella dorata delle aquile e dei cerbiatti, prima della falsa compagnia di chi guarda gli smartphone mentre cammina sul marciapiede accanto a te. Ho imparato molto dalla montagna: ho imparato a salutare chi incontro sul sentiero, a portare con me uno zaino con il necessario per me e per chi potrebbe averne bisogno. Ho imparato la solidarietà, perché in certi passi bisogna stare attenti e insieme, salire e scendere non è una sfida ad un gigante addormentato, non si può camminare senza avere cura di sé e di chi è con noi, nostro compagno. Non è una sfida, non è una conquista. Ho imparato ad avere rispetto dei luoghi e di chi li abita, animale è anche l’umano, me lo ha insegnato la montagna.

Sapete quanta retorica c’è in chi pronuncia frasi ad effetto come “Io insegno ai miei allievi, ma sono loro in realtà che fanno imparare qualcosa a me”.

Ecco, io non ho proprio nulla da fare imparare alla montagna.

Ai boschi, ai laghi o al mare.

E quanto è liberatorio saperlo.

Noi non abbiamo proprio nulla da insegnare alla Natura.

Pochi giorni fa ho camminato nei miei boschi, in Valsugana, e non ho avuto la forza di percorrere tutti i sentieri. No, non parlo della forza fisica, ho buone gambe, allenate a queste salite e discese. Ero, a quasi un anno di distanza dai fatti, nelle zone colpite dal vento e dalla pioggia tra il 28 e il 31 ottobre 2018.

Maltempo.

Che modo idiota abbiamo per definire quello che non sappiamo governare: cattivo tempo, maltempo… di luoghi comuni abbiamo piena la bocca e la testa, quando qualcosa minaccia la nostra stabilità è solo, automaticamente, cattiva e brutta, malefica.

Invece noi siamo buoni, puri.

Noi che inquiniamo e poi voltiamo lo sguardo per stare comodi nelle nostre case mentre provochiamo incendi, devastazioni nucleari, radioattività… noi siamo puri.

Siamo puri e vittime di una Natura troppo potente, troppo insondabile.

Questo ci raccontiamo, proprio oggi, quando il 1900 è finito da un ventennio circa e ha portato nel nuovo millennio il talento di seminare morte.

Proprio oggi, che definiamo medievale qualsiasi tensione reazionaria (perché poi, è sempre il Medioevo a dovere rappresentare storicamente il male, per me resterà sempre un mistero: come se la “modernità” dei conquistatori sia stata illuminante e illuminata e così pure gli insanguinati secoli successivi), proprio oggi che si consultano gli oroscopi e le previsioni del tempo per decidere se avere un figlio o no, proprio oggi, insomma, che siamo in grado di conoscere, non sappiamo niente.

Non sappiamo nemmeno che la Natura non è malevola.

La Natura è indifferente e siamo noi a condizionare, con i nostri scellerati patti di sangue e di soldi (per il sesso valgono sempre l’oroscopo e il meteo, il sesso è superato), di potere industrializzato, siamo noi, con i nostri consumi a causare le piogge torrenziali, la siccità, gli alberi divelti, le radici spezzate.

La Natura è indifferente.

Ora, potete anche dirmi che sono una pessimista (perché oltre che malevolo, ciò che non ci piace ascoltare è anche pessimo, Leopardi ne sapeva qualcosa), ma i fatti parlano.

Anzi, no, parlano gli alberi.

Quelli divelti, sradicati, quelli che bruciano.

Il 31 ottobre 2018 scrivevano sul Giornale del Trentino

«Danni ingenti ha lasciato dietro di sé il vento: la Protezione civile calcola che in Trentino si siano schiantate al suolo, soprattutto in val di Fiemme e Lagorai, fino a 1,5 milioni e mezzo di metri cubi di piante».

In Amazzonia, leggendo l’Ansa del 21 agosto scopriamo che c’è un record di incendi:

«L’agenzia spaziale brasiliana (Inpe) ne ha contati 72.000 da gennaio, 9.500 dei quali scoppiati solo nell’ultima settimana. Lo riferisce la Bbc. L’incremento rispetto allo scorso anno è dell’84%, si tratta del dato più alto dal 2013, quando iniziarono le rilevazioni del fenomeno.  Lunedì scorso, il fumo degli incendi ha oscurato per oltre un’ora i cieli di San Paolo. I critici accusano la politica ambientale del presidente Jair Bolsonaro, che punta sullo sviluppo invece che alla conservazione»

Mentre il 5 agosto riguardo la questione siberiana leggevamo (sempre dal sito Ansa)

«Una squadra di Greenpeace Russia ha documentato i massicci incendi che stanno interessando la Grande foresta del Nord nella regione di Krasnoyarsk in Siberia. Nonostante le dichiarazioni delle autorità, secondo l’ong l’intensità degli incendi non sta diminuendo e anzi, la distruzione di 4,3 milioni di ettari di foresta (una superficie equivalente a quella di Lombardia e Piemonte messi insieme) e l’emissione di oltre 166 milioni di tonnellate di anidride carbonica (più o meno quanto viene emesso in un anno da 36 milioni di auto), continua a minacciare il clima del Pianeta. Uno degli effetti collaterali di questa catastrofe è la produzione di “black carbon”, ovvero particelle nere che rischiano di finire nell’Artico e depositarsi sul ghiaccio riducendone l’albedo (il potere riflettente di una superficie) e facilitando così l’assorbimento di calore, contribuendo ulteriormente al riscaldamento globale. “Questi incendi avrebbero dovuto essere spenti immediatamente e invece sono stati ignorati. Ora la situazione è catastrofica e le conseguenze che avranno sul clima non sono una minaccia solo per la Russia, ma per l’intero Pianeta” dichiara Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. “La Russia dovrebbe fare di più per proteggere le proprie foreste, ad esempio fornendo finanziamenti sufficienti per la prevenzione e il monitoraggio degli incendi”. In Russia, secondo Greenpeace, oltre il 90 per cento degli incendi avviene nelle cosiddette “zone di controllo”, ovvero aree in cui la legge non prevede che debbano essere spenti. Molti degli incendi che quest’anno stanno divampando nelle “zone di controllo” avrebbero potuto essere estinti in fase precoce, il che avrebbe ridotto significativamente l’area interessata dagli incendi e le emissioni di CO2 nell’atmosfera»

Dunque, vediamo, piccola me “pessimista”, piccola me fragile se paragonata alla magnifica ed estesa vita di un bosco, vediamo un po’, a vederli tutti insieme e in successione, cosa ti raccontano questi alberi del Trentino caduti che ora stanno lì, piaghe aperte sui fianchi delle montagne, cosa ti raccontano degli alberi bruciati e tagliati in tutto il resto del mondo?

La piccola me tace. Ma non perché non sappia cosa rispondere. La piccola me tace perché è stordita dall’odore penetrante della resina che sgorga dai tronchi spezzati. La piccola me tace perché per i boschi adesso il silenzio delle ombre fresche provoca un ronzio di insetti a lavoro per decomporre gli scheletri degli alberi.

La piccola me tace, perché l’unica cosa che potrebbe dire sarebbe solo retorica: direbbe, cioè, che amerà sempre gli uomini e le donne che pianteranno alberi.

Perché così si deve fare, si devono piantare alberi: senza bisogno di consultare l’oroscopo. Per amore della terra che ci ospita, non per divinazione. Non per i soldi e nemmeno per il potere. Ma per la vita.

ARTICOLO e foto DI IRENE GIANESELLI

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