23 maggio 1992.
Telegiornale Uno: edizione straordinaria.
“Siamo in grado di darvi le prime immagini dello spaventoso attentato nel quale ha perso la vita il giudice Giovanni Falcone e almeno 3 uomini della scorta, 20 le persone che sono rimaste ferite, l’attentato è avvenuto nel tardo pomeriggio sull’autostrada che collega Palermo a Trapani.”
Le immagini che accompagnano questa notizia sono resti di macchine imprigionate nel terriccio e circondate da una gran confusione di gente.
In questo attentato tu, Giovanni, insieme al magistrato Francesca Morvillo, tua moglie, e agli altri tre giovani agenti della tua scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro avete perso la vita.
Siete morti per la vostra libertà. La libertà di essere donne e uomini che pensano, che esprimono le proprie idee, che non restano fermi quando qualcosa non funziona, ma che, al contrario, rivendicano il proprio diritto più importante: il diritto alla vita nella legalità.
Caro Giovanni, so che non volevi essere un eroe, ma compiere semplicemente il tuo dovere, e io penso che sia questo l’esempio a cui oggi dovremmo ispirarci davvero: a chi come te voleva vivere lavorando per la giustizia e per lo Stato in cui credeva. Eppure, io non voglio ricordarti solo attraverso la tua morte. Voglio ricordarti e ricordare insieme a te i magistrati, gli agenti che sono stati in grado di compiere al meglio il proprio dovere.

È questo quello che voglio portare nel mio ruolo di educatrice: la forza di perseverare e credere in quello che si fa, lottando insieme (come facevate voi del pool antimafia) e ciascuno nel proprio piccolo. La mafia si può sconfiggere. Tu stesso lo hai detto: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.
E oggi queste donne e questi uomini siamo noi.
Come cittadini dovremmo essere liberi di esercitare i nostri diritti e invece troppo spesso ci ritroviamo a dover subire le decisioni o le condizioni che vengono imposte, o peggio, ad accettarle con mero disinteresse, quando al contrario, dovremmo essere mossi dal desiderio, dalla passione e al tempo stesso anche dalla rabbia e addirittura dalla paura stessa di affrontare ciò che ostacola l’esercizio della nostra libertà, perché una vita senza libertà, non è una vita.
Penso a un futuro costruito attraverso un sistema educativo che sia soprattutto incentrato sul rispetto della persona e sulla sua valorizzazione in tutti i contesti.
Il 23 maggio del 1992 è una data che ha sicuramente cambiato la storia, non solo quella del mondo, ma anche quella delle persone, di ciascuno di noi. Di chi c’era allora e anche di chi c’è oggi. Desidero questo cambiamento, vorrei che diventasse concreto e si manifestasse attraverso i nostri piccoli gesti quotidiani. Si può cambiare il mondo una pagina per volta, come in questo disegno di Gabriele Laddaga che accompagna la mia lettera.