Si può davvero riuscire a vedere con gli occhi del Poeta la realtà?
Tra capire e vedere, tra vedere e guardare esistono infiniti mondi tutti da conoscere, ma non tutti, sempre, raggiungibili.
Questa è la sfida verso l’impossibile alla quale siamo chiamati quando prendiamo tra le mani dei versi, un romanzo, un film, una drammaturgia di Pier Paolo Pasolini. Non capita con tutti i Poeti, Pasolini ha una voce inconfondibile e In un futuro aprile, documentario diretto da Francesco Costabile e Federico Savonitto, non può che testimoniarlo.

Le prime inquadrature alle quali si alterna una intervista a Pasolini del 1967 cercano di mostrare su cosa si siano posati gli occhi di Pasolini e seguono con la macchina da presa lo sguardo di fanciullo che esplora il mondo piccolo-borghese della propria nascita e cerca di comprenderlo, per sfidarne i varchi oscuri, sia ideologici che filosofici. Vittoria Prignano che cura i costumi veste l’ombra di Susanna Colussi in modo impeccabile.
Sin dall’esordio colpisce come i due registi cerchino di rendere esperienza il ricordo visivo delle tende bianche angoscianti di cui Pasolini scrive in Lettere Luterane. Colpisce perché, probabilmente, Pasolini costruisce quel ricordo per parlare d’altro, poco gli importa dell’infanzia in sé, o della propria: quello che vuole è analizzare il rapporto del sé con le cose. Cosa ci insegnano le cose, cosa c’è di cosmico e abissale in una tenda bianca?
La voce di Pasolini, mimata da quella di Daniele Fior che legge quasi sussurrando stralci di Amado mio e Atti impuri, resta una voce inafferrabile mentre scorrono le immagini d’archivio di un Friuli che potrebbe sembrare antico e rimosso, ma che invece ancora sta steso sotto il cielo bianco di una Domenica d’inverno, o magari una Domenica Uliva, a Casarsa della Delizia.

Sono certamente evocativi i momenti nei quali il racconto dei romanzi giovanili, come si dice, viene tradotto in scene e il fiume Tagliamento degli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale scivola in quello contemporaneo di bagnanti spensierati e immemori, ma qualcosa sfugge: uno spettatore che poco sappia di Pasolini potrebbe cadere, suo malgrado, nell’equivoco di credere che il romanzo coincida con l’esperienza interiore in modo perfetto.
Perché, forse, dobbiamo fare una premessa: torniamo, ancora una volta, al dibattito tra Proust e Saint-Beuve. Torniamo, ancora una volta, ad ammettere che il biografismo è un approccio da superare, che l’io del Poeta o dell’artista o del genio è un segreto che ci sarà – e ci deve essere – inaccessibile e quanto noi del Poeta, dell’artista o del genio leggiamo e guardiamo, vediamo ed esperiamo non è che una serratura dalla quale spiare la realtà, la nostra realtà, non quella interiore del Poeta, dell’artista o del genio.
Dunque, il Pasolini ventenne che ci raggiunge postumo nei primi romanzi, sebbene usi la propria biografia, racconta altro dall’intimo sé: sarebbe moderatista archiviare i due romanzi brevi Atti impuri e Amado mio come esercizi di autobiografia. Pasolini racconta la Guerra, i bombardamenti e la perdita, le perdite dell’età adolescenziale, il trapasso che compie il bambino per diventare adulto in un mondo contadino che gli urla in faccia che, sventrato dalla Guerra, nemmeno il paesino delle primule conoscerà mai più la verginità.
Per dirla con Arcangelo Leone de Castris, in Pasolini si fa carne «la necessità originaria e drammatica di comunicare, di costruire metafore, luoghi di innocenza e di mitizzazione della condizione di ansia e nostalgia per una totalità esistenziale perduta».

Orchestrato con intelligenza, il documentario spinge all’approfondimento, spinge a cercare ancora Pasolini e le sue parole, complici la fotografia accattivante di Debora Vrizzi e il montaggio serrato di Natalie Cristiani e Federico Savonitto. Un documentario istruito che cita la Ciaccona di Bach e si impreziosisce con le musiche originali di Paolo Corbieri e che si affida ai ricordi di Nico Naldini, cugino e curatore della Cronologia pasoliniana che introduce opere nei volumi de I Meridiani editi da Mondadori.
Si alternano dunque stralci di Empirismo Eretico, La religione del mio tempo, La nuova gioventù, Poesie in forma di Rosa, Quaderni rossi, interviste d’archivio allo stesso Pasolini, in particolare appaiono splendide le immagini tratte da I tagli della Medea.

Lo stesso Naldini, intervistato, di fatto conduce e ricostruisce quegli anni.
In un futuro aprile – Il giovane Pasolini promette di raccontare proprio il Pasolini ventenne, ma inevitabilmente si scontra con il corpo scempiato del Poeta all’Idroscalo di Ostia nella notte feroce del 2 novembre 1975.
Quel corpo che torna, costantemente, a interrogarci, quel corpo assassinato che Naldini stesso osserva senza commentare, sfogliando le foto del funerale a Casarsa, dove la bara si muoveva a fatica per raggiungere il cimitero, circondata com’era da quanti accorsero per omaggiare il Poeta.
E proprio Naldini ci suggerisce di andare oltre quella morte, oltre la biografia stessa, oltre quell’interiorità che deve rimanere inafferrabile e sulla quale nessuno di noi, critici o biografi, ha il diritto di intervenire. “Tanto questa è l’ultima volta che ne parlo” dice Naldini con gli occhi velati e così è: il documentario raccoglie per l’ultima volta la sua testimonianza, prima del 9 settembre 2020 quando proprio lui, il cugino che seppe prima di Pasolini della morte di Guido Alberto, il fratello partigiano ucciso da altri partigiani, si è spento a Treviso.
Di questo fratello Pasolini conserverà una memoria che trascende il rapporto di sangue: il sacrificio di un giovane partigiano non ha bisogno di essere mitizzato, è già qualcosa di cosmico e abissale.
Eppure, di questo fratello partigiano brutalmente assassinato nell’eccidio di Porzûs, Pasolini non parlerà neppure a Bernardo Bertolucci giovinetto al quale dedicherà A un ragazzo (ne La religione del mio tempo): «Ah, ciò che tu vuoi sapere, giovinetto, / finirà non chiesto, si perderà non detto».

In un futuro aprile procede in circa un’ora, riassumendo un lavoro d’archivio certamente approfondito, con il respiro confidenziale di Naldini che ricorda anche la bellezza di Susanna Colussi e restituisce una immagine del giovane Pasolini tradotta da chi gli era accanto e confermando così quanto davvero sia inafferrabile la storia interiore del Poeta. E così deve essere, a questo dobbiamo abituarci: non troveremo mai le cose dove ci aspettiamo di trovarle, proprio come quando cerchiamo di afferrare i nostri corpi riflessi sulla superficie di un fiume.
Non è approfondito, però, il Pasolini drammaturgo, un’occasione mancata che ci auguriamo possa essere presto recuperata vista l’importanza, anche teorica, che il Teatro di Pasolini ha nell’ambito della drammaturgia italiana del Novecento.

Per questo, ci permettiamo di dare al lettore qualche indicazione: il Pasolini fondatore, tra le altre cose della Academiuta di lenga furlana, cominciò proprio in questi anni di laboratorio permanente linguistito e poetico con i ragazzi di Versuta a scoprire il Teatro, a pensarlo e a scriverlo, a metterlo in scena come fece con la violinista Pina Kalc per I fanciulli e gli Elfi (opera ora parzialmente pubblicata nel volume Teatro de I Meridiani Mondadori, opera che citiamo poiché l’episodio della messinscena viene romanzato proprio in Atti impuri). E proprio in lingua friulana intorno al 1944, Pasolini scriverà I Turcs tal Friûl, il dramma storico sull’invasione dei Turchi del 1449. La pubblicazione nel 2019 de I Turcs tal Friûl per Quodlibet, voluta da Giorgio Agamben nella collana Ardilut, ha accompagnato l’edizione per Ronzani di Poesie a Casarsa promossa proprio dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini in stampa tipografica fedele alla prima edizione con la riproduzione del medesimo carattere, il Bodoni 135.
In un futuro aprile – Il giovane Pasolini riporta tutto indietro per dirla con Pilade (altro splendido personaggio del Teatro pasoliniano protagonista della tragedia in versi omonima), in quella Casarsa ancora oggi abbagliante dove a Casa Colussi esiste il Centro Studi Pier Paolo Pasolini (ne è attualmente presidente Flavia Leonarduzzi dopo Piero Colussi), un punto di riferimento fondamentale per i ricercatori che vogliano guardare a quelle rogge e a quelle cene attorno al fuoco dei braccianti che aspettano la Domenica per tornare alla vita sacra della messa, della festa che sospende la Guerra e, forse, persino il tempo.
Il documentario è prodotto da Altreforme (Udine) in Associazione con il Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa, Cinemazero, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, Kublai Film e con il sostegno di Fondo per l’Audiovisivo FVG, FVG Film Commission, Fondazione Friuli. In un futuro aprile – Il giovane Pasolini ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria “Biografilm Italia” al Biografilm Festival 2020, ed è vincitore all’Asolo Art Film Festival 2020 del Premio Miglior film sull’arte e del Premio Sky Arte mentre al Sole Luna Sguardi doc di Treviso 2020 ha meritato il Premio Rubino Rubini.