L’opera lirica in cinque atti L’angelo di fuoco (composta tra il 1919 e il 1926) da Sergej Prokof’ev è andata in scena al Teatro Petruzzelli di Bari dal 17 al 23 aprile 2024. Abbiamo intervistato tre attrici cresciute con la regista Emma Dante che ne ha diretto l’allestimento. Federica D’Amore, Marta Franceschelli e Francesca Laviosa sono alcune delle interpreti che danno corpo alle “famiglie” che abitano l’opera: i morti, le suore e le creature del mago. Non diamo altre indicazioni sulla trama che contiene tutte le tensioni tipiche e topiche del simbolismo russo, ma dell’allestimento diremo che fa palpitare la scena, persino nei cambi, e valorizza al massimo il tessuto musicale, cioè la sua sensualità e la sua inquietante potenza.

La visione di Emma Dante mostra una femminilità che cerca di ribellarsi dalle costruzioni e costrizioni culturali, non ne esce sconfitta ma è costretta a ripiegarsi in ogni caso in una sacralità che vuole ricodificarsi. Federica D’Amore racconta di avere fatto il suo provino per la scuola Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo di Palermo diretta da Emma Dante nel 2014 proprio come la sua collega Marta Franceschelli che sottolinea “l’incontro con Emma Dante per me è stato l’inizio di una rinascita teatrale”. Francesca Laviosa a 29 anni conosce per la prima volta la regista palermitana a un laboratorio: viene scelta per uno spettacolo e decide di abbandonare la sua professione di Account e Project Manager a Milano per formarsi alla scuola del Teatro Biondo, collabora con la regista da ormai vent’anni. I loro racconti si incastrano in un nodo comune: l’idea che l’approccio fisico, come viene definito spesso dalla critica, abbia cambiato la loro vita. Ed è sempre sconvolgente scoprire che in Italia ancora oggi corpo e mente vengano separati, come se gli antichi greci non ci avessero già insegnato che il teatro è, come la vita, lo spazio in cui i corpi entrano politicamente in contatto ricostruendo la grazia. Però questo è un altro discorso: ciò che conta è seguire la matrice comune.
Avete tutte addosso, quindi dentro, questa impronta che viene dalla vostra formazione.

Federica D’Amore: Sì, per tutto il triennio abbiamo frequentato continuamente questo approccio comunitario al teatro, cioè questa volontà comune di raggiungere insieme un obbiettivo. Non soltanto lo studio del coro tout court, ma proprio un tipo di lavoro che ti permette di pensare in termini di collettività. Questo segna profondamente chi si forma con Emma, è l’aspetto su cui lavora di più, si impara a frequentare questa dimensione ogni giorno con consapevolezza.
Marta Franceschelli: Sì, il gruppo è la cosa più importante: lei lavora sulle singole diversità, sulle unicità di ciascuno, e le mette insieme. Il gruppo funziona sempre, anche nel caso de L’angelo di fuoco: si tratta di una ripresa e alcuni attori si sono aggiunti sostituendone altri. Ma non è un problema, il lavoro di gruppo ti consente di costruire la relazione in scena. Non abbiamo personaggi, non abbiamo ruoli, siamo unicità che creano un unico movimento. Io lavoro perché gli altri lavorino e viceversa.
Francesca Laviosa: E per me l’altra traccia di Emma è il lavoro sul corpo, un lavoro sincero. I corpi si contaminano, non si passa da una visione autoriferita o autocelebrativa. Tutti i corpi sono diversi, so che il mio è bello così com’è e si esprime in un suo modo unico, ma è insieme agli altri che diventa più forte in scena.
Marta Franceschelli: Esatto, la traccia è la stessa per tutti, ma la ricerca è sulla qualità di movimento di ciascuno che poi crea quella del gruppo. Per questo è importante il training che abbiamo appreso a scuola: il corpo è una tela bianca, i nostri atteggiamenti e vizi sono messi in discussione e da parte. Noi ormai sappiamo attingere al personale per lavorare su dei codici comuni. Ciascun corpo interpreta in modo personale il codice e queste singolarità creano il gruppo.
Quale potrebbe essere il limite di questo metodo?

Francesca Laviosa: Emma è molto diretta, ha questa capacità di capire cosa ti muove. Quindi il limite è psicologico: può metterti in crisi in quel momento. Secondo me tu così arrivi al contatto con il pubblico molto più serena e preparata: hai già sperimentato il suo occhio rigoroso, attento.
Marta Franceschelli: Sì, il suo occhio è molto attento e richiedente. Dobbiamo dare il massimo sin dal principio, per superare i limiti. È vero che in alcuni momenti della vita bisogna essere anche pronti a ricevere questo stimolo esterno molto forte. All’inizio della scuola non capii subito, poi negli anni ho compreso il perché di questo sguardo. Nel caso de L’angelo di fuoco siamo partiti dalla breack-dance: Emma ha visto il ballerino a Siracusa, le ali dell’angelo sono le sue gambe, la sua danza. Anche la dimensione dei laboratori è molto importante: quando non siamo così fortunati da poter contare su un processo laboratoriale, sentiamo questa mancanza.

Federica d’Amore: Questa poi diventa anche una eredità, sei in sfida con te stessa, vuoi alzare l’asticella e uscire dalle zone di comfort. Scopri con il tempo di non avere dei limiti, puoi affidarti molto al tuo istinto se impari ad ascoltarlo. Così trovi sempre qualcosa oltre te, vengono fuori proposte interessanti che magari non credevi di poter sostenere.
Nel teatro italiano c’è un certo paternalismo, spesso anche una certa aggressività nel rapporto registi-attori. In questo caso mi sembra di percepire che in ogni caso voi riuscite ad avere un rapporto lontano da questo schema.

Marta Franceschelli: Lei arriva con delle suggestioni: le semina. Le sue improvvisazioni durano anche un’ora, un’ora e mezza, si basa molto su ciò che accade a noi in scena, c’è una reciprocità. È sempre alla ricerca di una verità anche nella parola. Lei cerca la tua voce, che non è per forza in dizione, con una certa intonazione… è la voce che viene dal corpo che si muove, sincera.
Federica D’Amore: Il paternalismo in Italia si riflette in qualsiasi ambiente gerarchico, però la cosa interessante del lavoro con Emma è che si fa una ricerca in un territorio comune. Nella creazione la ricerca è condivisa, la fatica si condivide. Emma non è una regista che sta in poltrona, si muove con te.
Francesca Laviosa: Secondo me Emma si relaziona in un modo con l’attore, in un altro modo con il personaggio. Se tu diventi il personaggio, si relaziona in modo molto materno. Quando riaffiora l’attore lei diventa più rigida perché cerca di farti tornare nella direzione del personaggio.
Abbiamo parlato di corpi, ma non deve stupire che Emma Dante sembri occuparsi degli spiriti.
Federica D’Amore: Sì, il lavoro di Emma è quasi archeologico. È un lavoro anticonformista e prezioso, il teatro è un’arte che non può rimanere come il cinema: è un momento unico che nasce e muore. Non è da tutti scegliere di scolpire personaggi che poi dopo qualche replica dovranno finire.
Francesca Laviosa: Secondo me per Emma gli spiriti sono proprio gli ultimi, i diversi, nel teatro trovano la loro unicità. Accade anche nel film Misericordia, Arturo è un personaggio meraviglioso, Simone Zambelli ha fatto un grande lavoro con Emma.
Marta Franceschelli: Emma lavora per esigenza, non per commissione. Questa pure è una grande eredità che portiamo avanti.
Cosa vi aspetta?
Federica D’Amore: Con la mia Compagnia Barbe à Papa Teatro andremo al Festival di Avignone con il sostegno dell’Istituto di Cultura di Marsiglia.
Marta Franceschelli: Con Ivano Picciallo lavoreremo a due laboratori, poi in agosto con Francesca saremo a Berlino per il Nabucco di Emma.
Francesca Laviosa: Io torno a Palermo, per il nuovo allestimento di Extra Moenia, sempre con Emma.
ARTICOLO DI IRENE GIANESELLI
