Buio.
Un buio intenso.
Un buio profondo.
Stai calma, aspetta. Respira profondamente, piano. Non tutto è buio. Non tutto lo è allo stesso modo. La finestra lo è meno dei muri, del letto, di te. E c’è la porta.
Erano dieci anni che non dormivo in questa stanza, la stanza della bambina.
Serena Vinci, Il sangue che ti scorre accanto, Les Flâneurs, 2023, p. 14.
Dal titolo evocativo, Il sangue che ti scorre accanto (Serena Vinci, Les Flâneurs, 2023) colpisce per il contrasto generato dalla struttura: è un romanzo che rinnega l’allegorismo pur affermandolo nella sua plasticità strettamente consequenziale.

Serena Vinci esordisce costruendo ad arte una voce di donna giovane, quella di Fiammetta, che definisce come una trentacinquenne “non risolta” e che effettivamente si porta addosso con fastidio l’etichetta di femmina meridionale fuggita dal sud, spatriata come è in voga dire oggi in ambito letterario, che ha spostato la propria vita a Torino (quella magica che resta ambiguamente lontana nel suo mistero) per non scendere a compromessi con la magia anarchica e forastica della Distici del sud che invece tende a imporsi in modo invadente e imprevedibile. E come etichetta vuole, Fiammetta torna a Distici (il cui nome che rimanda alla combinazione di due versi, esametro e pentametro, legati in rima e che rivela gli studi dell’autrice che si è specializzata in Filologia Moderna) per celebrare un funerale che disseppellisce tutte le sue più intime contraddizioni. Questo doppio moto di fuga e ritorno ricorda eroici e astratti furori della letteratura italiana (da Foscolo a Vittorini partendo da Bruno e dal suo dialogo filosofico fondato sulla ricerca di verità), ma se ne distacca poiché la narrazione cerca la risoluzione, la quadratura del cerchio a tutti i costi, anche scegliendo di sacrificare, almeno apparentemente, la forza della vicenda che affronta. Il romanzo è infatti ispirato a un fatto di cronaca degli anni Novanta, ma non si tratta di un romanzo “a tesi”. A Vinci pare interessi più l’evoluzione del pensiero e del sentimento dei suoi personaggi che il fatto in sé. Conta, in verità, solo la ricerca di Fiammetta perché la serie di omicidi e suicidi insoluti è giusto un pretesto: il sangue degli altri le scorre accanto, appunto, ma il suo rimane serrato nelle vene e nel lettore sorge il sospetto di trovarsi davanti a un personaggio femminile perfettamente contemporaneo perché umbratile e vorace nel suo desiderio di affermazione frustrato.
Fiammetta è egoista (un egoismo che potrebbe avere un principio di sanità), indaga per sé stessa, è lei a non avere pace, sospesa nel rapporto conflittuale (e provinciale) con i genitori e il paese di origine: la morte degli altri le serve per ridimensionare la geografia dei fallimenti famigliari come è nelle scelte narrative degli storyteller della generazione Holden degli ultimi trent’anni (la Scuola è stata fondata nel 1994 a Torino). La vera maledizione che aleggia nelle pagine scorrevoli del romanzo sembra proprio essere questo Sud che avvolge e arrugginisce le relazioni e i desideri. Vinci prende il fiato nell’aria immobile della calura pugliese o siciliana (o perché non anche calabrese) e lo tiene sino all’ultima pagina, senza mai concedersi una divagazione per contrasto narrativo con la voce narrante che invece lotta per tenere il filo del discorso, e il risultato è una storia godibile, rapida che nel finale ribalta e si prende beffe dello stereotipo che vuole la femmina del sud Italia strega e il maschio vittima suo malgrado benché gli uomini – i superstiti – nella vicenda restino comunque in ombra, travolti e coinvolti dallo sguardo impietoso di Fiammetta.

Il sangue scorre accanto con la veemenza della fatalità, ma senza avere una sacralità: Fiammetta è così la mente che affronta con rabbia la nostalgia e il rimpianto e che sostituisce il tumulto dell’inespresso con la linearità delle indagini. È un ricostruire per seppellire, un tornare a casa per conservare l’identità che si vorrebbe decostruire.
Interessante anche la playlist che accompagna il romanzo che rende l’immaginario dell’autrice: compaiono in particolare Il ballo di San Vito di Capossela e Lu jornu ca cantavanu li manu di Olivia Sellerio.
Se Iacopo Ortis abbraccia Curzio Malaparte e diventa Iacopo Malaparte fratello di una Violante nella quale si scontrano la vergine delle rocce dannunziana e l’incostante marchesina che innamora il Cosimo del calviniano Barone rampante, se la Laura di Petrarca si trasforma in una madre sensuale e indecifrabile e se la Fiammetta di Boccaccio gela il suo ardore, allora le carte sono ben sparigliate e pronte per essere affidate, insieme a una sfinge senza enigmi per dirla con Oscar Wilde, a un lettore che voglia affidarsi a una prosa tanto asciutta quanto promettente perché restituisce senza enfasi e con il dovuto distacco l’insignificanza e la banalità del male di provincia.
