Il primo femminismo che tra luce e ombra, tra superficie e abisso è come l’acqua di un fiume che scorre aprendosi ancora varchi nel terreno, il femminismo che non è ancora un fiume placido, oggi troppo intellettuale e troppo lontano dal popolo. La sfilata negata da Togliatti alle donne partigiane per la Liberazione di Milano e la scelta di Lidia di sfilare lo stesso assieme alle compagne, nonostante gli insulti della gente. Poi la lotta per il divorzio, quella per l’aborto e gli slogan nelle piazze. Referendum, comitati e convegni, i suoi impegni segnati sul calendario: incontri tutti i giorni delle settimane di ogni mese. La sua casa, i suoi libri e Rosa Luxemburg che per lei è stata «una delle più grandi teoriche marxiste, la prima che corresse alcuni errori di analisi economica di Marx, cosa che non viene mai riconosciuta».
Cosa di Rosa Luxemburg conserva Lidia Brisca Menapace nel manifesto che tiene appeso allo studio, lei, staffetta partigiana, senatrice della Repubblica Italiana, pacifista e femminista militante, che a novantasei anni si è spenta il 7 dicembre 2020 all’Ospedale di Bolzano a causa del Covid-19?
Ecco cosa: la convinzione che la crisi del capitalismo produce barbarie, la convinzione che l’unica risposta sia una rivoluzione culturale.
Non si può vivere senza una giacchetta lilla, scriveva Rosa Luxemburg dalla prigione, resistendo alla dissoluzione della sua persona. Resistere per Lidia Menapace ha significato avere una coscienza politica, ha significato la scelta immediata di schierarsi contro una gestione autoritaria del potere in ogni momento storico che ha vissuto, anche dopo l’8 settembre del 1943, anche in questi mesi.
Resistere, essere partigiana, per Lidia Menapace è stata una scelta di vita.
E noi così vogliamo ricordarla, partigiana, nostra, per sempre nel documentario Non si può vivere senza una giacchetta lilla del 2015 diretto da R. Novella Benedetti, Chiara Orempuller, Valentina Lovato e prodotto da Decima Rosa, con finanziamento della Trentino Film Commission.