A Masseria Jesce Caterpillar con Humus – Non saranno le stelle a caderci addosso

Da Humus – Non saranno le stelle a caderci addosso si esce pensando “Ecco, ci sono cose a cui penso e che, nonostante questo, dimentico”. Caterpillar ha tratto da Humus – diario di terra di Bianca Bonavita un monologo teso e struggente, fondato su invettive e poche, ma potenti azioni e trasformazioni: ora è un uccello ctonio dalla bianca maschera che gli taglia il viso a metà, ora si ritira per la notte, anima bella che indaga la sconfitta della pulsione rivoluzionaria e semina polvere d’argento e di ombra. Tra le cose che dimentichiamo: prendere la terra nel palmo e tenerci dentro un seme. Mantenere il contatto con l’humus per tutta la durata del soliloquio ha una forza rituale davvero intensa, predispone all’ascolto con un atteggiamento decisamente diverso da quello che si può provare in uno dei tanti teatri d’Italia “istituzionali”. Tra le cose che dimentichiamo: a teatro non ci stupisce più quasi niente. Invece nella grotta di Masseria Jesce (Altamura) dove è andato in scena Caterpillar ho provato stupore nel riconoscere in queste invettive, in questo gioco di attore solo che si dibatte contro lo status quo un modo di parlare con il pubblico che temevo estinto. C’è nell’azione di Caterpillar il riferirsi a una certa idea di teatro politico, per esempio quello di Rame e Fo e, non a caso, il personaggio che ha voce di femmina potrebbe essere una operaia o una proletaria, se non parlasse come una sindacalista a un comizio (e c’è da riflettere sul fatto che i comizi debbano farli i teatranti, oggi, ma giusto in pochi, giusto i più indipendenti).

E Caterpillar ha ragione su tutta la linea: bisogna disertare. Perché, come spiegava Donato Laborante nell’introdurre la “performance” (tra virgolette poiché l’etichetta sta stretta a questo monologo anarchico), “più si cerca di fare il bene, più si fa il male oggi”. Sì, è così: più cerchiamo di essere accomodanti e più indugiamo, più le cose si complicano stupidamente e i conflitti si inaspriscono, i toni si alzano. I toni, ma i contenuti restano bassi e volgari, perché il potere brutalizza le anime, anche le più sensibili. Ma il punto è proprio questo: avere ragione oggi non basta.

Non basta essere d’accordo con Caterpillar, non basta indignarsi e dargli ragione (si finisce per somigliare al bombarolo di quel magnifico album Storia di un impiegato di De André del 1973), non basta “dire” che si sta dalla parte dei disertori e che si diserta. Anche perché, fino alla fine, questo atto di diserzione non lo si porta sino in fondo mai. Si resta prudenti, certe cose è meglio non dirle e allora le si pensa di nascosto, le si lascia macerare con rabbia. E infatti la rabbia è il motore principale di questo monologo-invettiva. Così da avere ragione, proprio perché si ha ragione, si finisce per avere torto. Certo, non è il torto in cui si beano gli avversari della libertà e della democrazia, ma è pur sempre un torto.

L’alternativa, però, è proprio il rito culturale in sé. L’alternativa alla rabbia è il progetto di comunità che Donato Laborante porta avanti con amore e dedizione a Masseria Jesce, in un territorio che è straordinariamente importante per il suo valore archeologico (Murgia catena). L’alternativa è il programma, il progetto educativo. L’alternativa è proprio in quei pochi metri di terra, niente di che rispetto alla vastità del mondo, in cui si coltivano le relazioni tra persone, tutte importanti, nessuna esclusa. Quindi l’invettiva prende senso: l’indignazione ha un preciso significato politico se fa parte di un algoritmo che serve a liberare i corpi e fornire loro uno spazio di condivisione (perché gli algoritmi sono cosa umana, non di macchina, se lo ricordino i cantori dei sistemi informati che nulla hanno a che vedere con l’intelligenza).

Forse le stelle non ci cadranno addosso, ma siamo ancora inchiodati a quel “chi non terrorizza si ammala di terrore”. E allora forse, qualcosa si deve fare. Poi si guarda e si ascolta Donato Laborante dire “volete fare la rivoluzione? Allora proteggete la Costituzione” e si pensa che forse le stelle non sono troppo lontane.

ARTICOLO DI IRENE GIANESELLI

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