Il regista Matteo Garrone è stato ospite di FestivArts a Castellana Grotte il 18 luglio 2024, accolto in piazza Nicola e Costa dal sindaco Domenico Ciliberti che è anche l’ideatore della manifestazione.

In un tempo di mistificazioni e abusi, la commozione di Matteo Garrone nel ripercorrere la costruzione delle sue opere e le relazioni che le rendono possibili è una testimonianza di autenticità. Del resto, il suo cinema gli assomiglia: non c’è ombra di paternalismo nel suo modo di dirigere gli attori, così come non c’è falsa modestia quando prende la serata tra le mani e conduce il pubblico nella propria poetica, proponendo e commentando alcune sequenze di Io capitano (2023), Dogman (2018), Primo amore (2004) e Reality (2012), Lo cunto de li cunti (2015).
L’aspetto più sorprendente dell’incontro è che il regista continua a rimanere a servizio delle sue opere, delle storie e delle persone che le abitano anche in una serata che potrebbe diventare banalmente celebrativa o, peggio, scadere nella vacuità del salotto post-berlusconiano. In realtà, non dovremmo sorprenderci, perché l’onestà è la premessa di tutti i suoi progetti. Così, Garrone si commuove quando racconta di come Seydou Sarr sia riuscito a sostenere il provino per Io capitano per una questione di pura magia (perdere le chiavi di casa in attesa del casting a cui era arrivato in ritardo e da cui rischiava di essere escluso) e si commuove anche nel rivedere con il pubblico la sequenza del film in cui il giovane attore attraversa tutti i sentimenti, anche contrastanti, in un primo piano che è la summa del viaggio dal Senegal alla Sicilia. E questi occhi lucidi, questa voce che trema sono le stesse, ugualmente intense e sincere, che avevamo visto e sentito al Bif&st 2024 durante la masterclass condotta dal regista David Grieco nella quale Garrone aveva condiviso le proprie idee: “Pensiamo sempre che questi ragazzi possano decidere di fare un viaggio del genere solo per fuggire dalla guerra, come se non avessero anche loro il diritto di essere liberi, di girare il mondo, di seguire un sogno”.
La gentilezza di Garrone è disarmante, ha qualcosa di familiare: forse è così perché il suo modo di fare cinema e di renderlo strumento per l’autoeducazione della società contemporanea in una sera d’estate in cui il caldo non dà tregua ha lo stesso slancio di un certo Vittorio De Sica, di Roberto Rossellini, con in più la coscienza politica indomita di Pier Paolo Pasolini e quella forza folle che è nei sogni di Sergio e Franco Citti. E, non a caso, il Roberto Benigni protagonista de Il minestrone di Sergio Citti nel 1981 è diventato il Geppetto del conturbante Pinocchio di Garrone nel 2019: si tratta di due interpretazioni tra le più significative dell’attore fiorentino.

Dogman (2018) torna al cinema in questi giorni in una versione a cui sono stati aggiunti cinque minuti. “Mi sono rimesso al montaggio, perché nel tempo mi accorgo che alcune cose le rifarei. Anche quando giro, mi lascio un tempo a disposizione per tornare sul set dopo il montaggio: cerco di mantenere l’ordine cronologico delle scene, penso che sia più utile agli attori entrare così nel processo dei personaggi” spiega il regista prima di mostrare alcuni minuti di backstage della scena forse più complessa del film e la premiazione di Marcello Fonte a Cannes per il Prix d’interprétation masculine. E, in effetti, i backstage sono documenti a parte: anche quello di Reality mostra una gestione del set gentile e mai moralista, con una cura toccante per i lavoratori e una parità tra loro e il regista che costruisce una relazione profonda. Il backstage si chiude con Aniello Arena, l’attore della Compagnia della Fortezza di Armando Punzo, che si volta a salutare prima che le porte del carcere si chiudano alle sue spalle (all’epoca Arena scontava ancora l’ergastolo e il regista ottenne un permesso speciale per poterlo avere nel suo film essendo colpito dal suo lavoro con Punzo: Garrone lo aveva incontrato a Volterra insieme al padre critico teatrale).
Il dono di Garrone, al di là della sapienza tecnica (la gestione dei controcampi è, per esempio, un’altra sua cifra se si pensa al fuori fuoco che caratterizza il dialogo in barca tra i due protagonisti di Primo amore e al fatto che per Io capitano il regista si fa messaggero, tramite dei personaggi a cui lascia libertà espressiva ed emotiva), pare concretarsi nella cura che ha per le persone con cui lavora: sono le relazioni, forse, il grande segreto delle sue visioni. E intanto ci permettiamo di suggerirlo, perché è lui stesso a svelarcelo quando permette alla propria voce di incrinarsi di tenerezza. E, come tutti i grandi segreti, questa cura che si rivela è qualcosa di inafferrabile: o la si ha, oppure non si verrà mai creduti. A Garrone si crede al primo sguardo, anche in mezzo alla confusione dei nostri tempi.
