Il mazziere dei vinti (Les Flâneurs, 2023) è un ritratto crudo e sincero della provincia meridionale di quest’epoca, ma rivela che l’Italia intera, in verità, è tutta un’acerba provincia che non conosce sé stessa, che ignora la Storia e che preferisce annegare nell’accidia della sua meschina borghesia decaduta. Qui non c’è più nemmeno il sangue dei vinti a imbrattare la realtà (è questo il titolo di un film del 2008 di Michele Soavi che ha ben altro tema, ma che in qualche modo contiene l’orrore nei confronti di una lacerazione etico-politica e sociale proprio come questo romanzo), non c’è carne, ma c’è una ribelle proiezione di corpi che lottano contro il diktat clerico-fascista secondo cui per formarsi ed esistere, l’essere deve soffrire. Niente di più falso: il mutamento entusiasma, non reclude, il mutamento è gioia, non dolore.

La trama è solo un pretesto per l’esordiente Emanuele Grittani: ciò che importa è calarsi nel delirio allucinatorio del protagonista trentenne che ha il profilo di Andrea Pazienza, l’irruenza di Pino Pascali e il disincanto di un personaggio di Paolo Sorrentino (anche se no, non hanno tutti ragione: il torto aleggia nel meridione proprio come il marcio nella Danimarca amletica). È lastricata d’inferno la via delle buone intenzioni, non può esserci salvezza per chi non vuole essere salvato, questa è la certezza del protagonista Antonio Quadrato che sa di non poter morire tondo in un micromondo di assoluti e pregiudizi. E, in effetti, con buona pace dei melensi e insulsi slogan contemporanei che hanno invaso anche l’ambito letterario, ci si salva solo da soli e se davvero lo si vuole, altrimenti si continua a scegliere a quale protettore o santo votarsi (e le vie dell’immaginario paesino di Sant’Eusebio sono anch’esse dedicate a martiri cristiani costruendo un’ambientazione beffarda).
Nel suo passo agile, l’autore è abile anche nella costruzione di figure mitiche come la zingara dei tarocchi: una esclusa, una donna velata le cui parole ricordano il raggelante “Per me, io sono colei che mi si crede!” del Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello. A Pirandello il Caos, a Grittani San Severo e il disordine ordinato dell’ambigua, implacabile e ipocrita provincia pugliese.
In Grittani colpisce una prosa ragionata e la costruzione di un romanzo breve – la cui voce narrante si confessa mentendo epifanica – che implode per confermare la disfatta di una generazione cresciuta nel limbo provinciale tra autoreferenzialità, anche nel dolore, e sofisticata preveggenza. Lo sfacelo si dispiega come elettricità nelle pagine che sembrano segnare la rivincita del vinto, tra memorie sveviane e slanci pop (molteplici i riferimenti al cantautorato più recente e in particolare a Niccolò Fabi), ma sta sempre in agguato, pronto a inabissare i rimasugli di una figura maschile nata sconfitta che per quanto cerchi di de-costruirsi, finisce per assecondare una forma già data e imposta da qualcun altro (nonostante il pietoso amore dei nonni che hanno cresciuto Antonio e lo hanno educato alla sensibilità). Il vinto non si può quindi autoassolvere: è la concrezione di una società infelice e, per quanto lotti anche contro sé stesso, non riesce a fare a meno di precipitare nelle sue privazioni.
Non a caso la figura femminile che è fulcro dell’illusione-azione del protagonista è sua coetanea, ma è già madre e insegnante: anche qui Grittani fa a pezzi la questione “famiglia tradizionale” ribadendo che i figli possono crescere anche senza un padre e, soprattutto, una donna può portare avanti una gravidanza senza bisogno di essere sposata (non un caso, questo, considerando che nel 2023, specie nel Sud Italia, una donna per essere legittimata a esistere, anche istituzionalmente, o deve essere “moglie di…” o deve “appartenere” a un padre, altrimenti è solo “una puttana”).

Antonio si barcamena guardando i provinciali schiumare tra schedine e poste in un’agenzia di scommesse come il fantoccio di un vetero-maschilismo frustrato, che cerca nella compagna di vita una madre-amante che lo consoli, in cui entrare per prendersi una rivincita pur se con l’intenzione di “accompagnarla”, esserle cioè compagno nella vita. Ma resta, sul fondo, l’opaco desiderio di possesso che caratterizza il maschio: la sua sconfitta di uomo, di fatto, è anche questa, il non essere all’altezza, nella relazione di coppia, dell’amata che diventa da amica, preda e avversaria. Antonio sa tutto questo e si disprezza, non si accetta. Ma come venirne fuori quando uno si chiama Quadrato? È l’autore che ha deciso già nel cognome il destino insalvabile del suo personaggio.
Forse, a questo punto, possiamo permetterci un suggerimento: simpatizzare con i vinti non cambierà il mondo, assolverà sempre il Potere, come fanno, del resto, tutte le consolazioni. Scegliere da che parte stare, è un passo oltre: stare dalla parte dei subalterni affinché il Potere non li vinca e farlo prima che i subalterni diventino semplicemente vittime. Il male, del resto, non è una fatalità, proprio come l’ipocrisia e l’accidia, come l’infelicità.
