Il libro perduto di Adana Moreau: la multidimensionalità della realtà
«Ieri sera, esclamò Saul, hai detto che non ha molto senso pensare alle Terre degli universi paralleli perché ciò negherebbe la nostra esistenza su questa Terra qui o addirittura la cancellerebbe del tutto, come se pensando a quelle altre Terre inaccessibili ci trasformassimo in finzioni. E per certi versi credo che tu abbia ragione, questo ramo della realtà, questa Terra, è l’unico che sperimentiamo e conosciamo. Ma è solo pensando a tutte le altre Terre, a tutti i miei altri rami di realtà – la realtà che ho abbandonato o che ho inesorabilmente cancellato, come Sol Marías, o quelle che ho inseguito senza meta o a malincuore, o anche tutte quelle in cui ho poco controllo delle cose -, che posso prendere qualsiasi decisione in questa. Credo, disse lentamente, che l’elegante variabilità fondamentale del multiverso, come direbbe Maxwell Moreau, mi costringa finalmente a fare delle scelte che altrimenti non avrei mai preso in considerazione o solo immaginato. Ha senso?»
M. Zapata, Il libro perduto di Adana Moreau, Giuntina, 2023 (trad. it. Viola Di Grado)
L’esordio di Michael Zapata è potente nella traduzione cristallina di Viola Di Grado per Giuntina: Il libro perduto di Adana Moreau (2023) è un romanzo-mondo struggente e disarmante. Una donna che racconta e unisce diverse generazioni, figli e nipoti, uomini che inseguono la Storia e fuggono attraversando con la parola mondi paralleli, orfani. Adana Moreau, affascinante e geniale, sopravvissuta a un eccidio dei Marines nelle piantagioni da zucchero vicino San Pedro de Macoris, scrive il romanzo Città perduta, e cambia la storia della letteratura di cui si è nutrita avidamente imparando a leggere con umiltà e dedizione dopo aver sposato l’erede dell’ultimo pirata del nuovo mondo. Moreau riesce a scrivere anche il seguito che si intitola Una Terra modello, ma è questo il manoscritto inedito che diventerà l’ossessione di chiunque si lascerà travolgere da Città perduta. È la fantasia al potere, è la letteratura che diventa atto creativo, sì, ma critico e trasformativo per il mondo e sé. Mondo [‘olàm], non a caso, è la sfavillante parola che compare in ebraico verso la fine del racconto, quando la trama aperta tra i portali del passato e del presente ha attraversato già tutta l’Europa, la Russia lacerata dalla guerra civile, fino a raggiungere la Chicago del 2005 e New Orleans devastata dall’uragano Katrina.
Zapata riesce nell’impresa di costruire una scrittura limpida, a tratti asettica, ma capace di lacerante lirismo. Non contano tanto i volti o le espressioni, quanto le azioni e i fatti che travolgono: un ritmo narrativo incalzante, capace di attraversare gli accadimenti come trattenendo il fiato sott’acqua per lunghe bracciate dense di simboli e di significato.
Anche i titoli dei due romanzi di Adana Moreau, del resto, rimandano a qualcosa di più, qualcosa che rimane inespresso anche se vaneggiato nella possibilità di raggiungere tramite i portali gli universi paralleli: dove sta la Terra Promessa? È davvero questa o si trova nello spazio oltre gli spazi?
Mentre Saul e il suo amico Javier mantengono la promessa fatta al nonno Benjamin, Maxwell, figlio di Adana, sembra continuare a tenersi sospeso tra passato e futuro: è diventato un fisico (proprio come il noto studioso che per primo elaborò la teoria moderna dell’elettromagnetismo) e sembra davvero che “la storia si proietti su di lui come l’ombra di un altro mondo” proprio come ci sembra la sua infanzia preconizzasse.
Così Zapata scrive un romanzo sulla multidimensionalità della realtà e della Storia attraverso la letteratura che diventa uno strumento di memoria individuale e collettiva: è tutto un ricordo, anzi, un ricordare ricordi attraverso la parola e il racconto di una madre. Il ricordare ricordi, dunque, viene trasmesso nel DNA, che lo vogliamo o meno. Allora non possiamo che domandarci se il futuro, la Terra Promessa, stanno forse nelle mani di una giovane donna che sceglie di non essere più schiava e analfabeta quando la sua famiglia viene annientata dalla violenza dei conquistatori americani. Il mondo sta forse nelle mani di una giovane donna che inventa mondi cercando di raggiungere qualcosa che riporti all’origine e proietti la vita oltre?
Ci commuove leggerlo senza retorica né ironia, ma anzi con devozione e gratitudine in questo romanzo scritto da un uomo. Un romanzo evocativo, a volte impietoso (come sempre accade quando si cerca di dire con onestà), palpitante come la brezza che accarezza la nave mentre l’accompagna sul mare. Zapata ha il passo lieve e gentile di chi ha cura di ciò che trasmette attraverso l’atto sacro del raccontare, forse l’ultimo atto rimasto ancora sacro.