Tindaro Granata è un attore di Teatro e un drammaturgo. Cura il progetto Il copione: sei drammaturghi, sei copioni, sei appuntamenti dedicati alla drammaturgia contemporanea. Il progetto è ideato dalla sua Associazione Situazione Drammatica con Carlo Guasconi e Ugo Fiore ed è organizzato e promosso in collaborazione con il Teatro de Gli Incamminati e Proxima Res. Tindaro Granata condivide con noi un suo corsivo, una riflessione che rappresenta in questo momento il pensiero di molti lavoratori dello spettacolo.
Dario Franceschini elogia “il modo virtuoso” delle iniziative teatrali sul web e sui social.
Vuole promuovere una sorta di Netflix per il teatro.
Questo è il Ministro che mi rappresenta, che mi amministra.
Come posso sentirmi rispettato e garantito nella mia professione di attore di teatro?
Da professionista dello spettacolo dal vivo, come posso sentirmi rappresentato da un politico, il mio ministro che, evidentemente, non sa cosa significhi il teatro…
e se mai mi rispondesse:
“Ma… come si permette, chi è lei? So bene cosa è il teatro!”
io gli risponderei: “Allora è peggio!”

Alle prime discussioni per capire come fare, cosa fare, come reagire, come sopravvivere, ho scelto il mio modo per vivere questo tempo (un modo che non ritengo “migliore” o “giusto” rispetto a quelli altrui) e ho deciso che non avrei usato il mondo virtuale per entrare nelle case degli spettatori attraverso lo schermo del computer con me che leggo il mio teatro, me che parlo con chi è in diretta, me che scrivo scene, me che leggo testi di altri autori o me che recito poesie o addirittura Dante (che non ho mai saputo leggere a voce alta).
Eccomi, ho deciso di non esserci così come non ci posso essere sul palcoscenico e come non ci posso essere in teatro.
Il teatro è parte di me e se lui non c’è, non ho diritto di esserci neanch’io.
Senza di lui sarei fuori luogo, senza forza, senza magia, sarei sgracchiato, sguaiato, piccolo,
sarei diminiuto.
Ognuno vive il suo lavoro come può e io grazie al mio lavoro ho potuto essere quell’uomo profondo, complesso, vitale, gioviale, comico, emozionato, cattivo, amante, amato, comprensivo, fedele, ricco, principe, re, regina, donna, e tanto tutto altro, che nella vita non sono stato mai.
Il teatro mi manca e forse è giusto sentirne la mancanza, forse è giusto che sia fermo, è giusto che non ci sia e che crei un vuoto in noi e nella nostra società. Forse è giusto perché solo attraverso la sua assenza potremo avere il desiderio che torni il Teatro, non il desiderio di farlo.
Abbiamo bisogno che muoia per farlo risorgere?
Non so. Nessuno di noi sa, ancora è troppo presto.
Mi preoccupa ciò che ha detto il ministro Franceschini, come mi preoccupa anche il modo in cui stiamo colmando l’assenza del Teatro: con palliativi, con esibizioni discutibili sui social con mille e mille scenette che saranno buttate nell’indifferenziata del virtuale.
Sappiamo benissimo che il virtuale, la tecnologia, proprio in questo periodo, sono un indispensabile mezzo di comunicazione che ci permette di non fermarci del tutto e di essere presenti e attivi, eppure non sono sicuro che sappiamo usare con sensibilità a questa “virtuosa” possibilità.
Noi attori, tutti, sulla scena cerchiamo di essere impeccabili, giusti, precisi, concentrati, belli, vogliamo essere al meglio delle nostre possibilità, invece adesso ci offriamo, arrendendoci, alla sciatteria del quotidiano digitale.
Ci arrendiamo a una distorsione della nostra immagine, vestiti alla meglio, con la voce che si “nquacchia” con le casse dei pc, tutto piccolo, tutto a ribasso.
Non voglio essere un ribasso, non voglio degli spettatori a ribasso, voglio che il pubblico pretenda il meglio da me (eh sì, dobbiamo pensare anche a loro, agli spettatori!).
Non voglio criticare nessuno dei miei colleghi (alcuni li seguo, li ho raggiunti al telefono per fare loro i complimenti per le iniziative che promuovono, e li stimo per la bellezza che riescono a mettere in circolo).
Non sono contro questo potente mezzo, che sto usando anche io, adesso, in questo momento, che mi permette di esprimere questi pensieri che state leggendo.
Non dico che dobbiamo escluderlo dal mondo della comunicazione teatrale, ma bisogna cercare di capire cosa è possibile fare e cosa no, darci dei limiti per non smarrire il senso di quello che vogliamo comunicare.

Il Teatro nasce da un rito religioso sacrificale, è sempre stato un atto sacro, misterioso quindi pericoloso, e adesso lo stiamo semplificando sostituendo il misterioso con il quotidiano.
Il Teatro è un rito collettivo al quale una comunità di persone sceglie di partecipare nello stato del “qui e ora”.
Senza “qui e ora” qualsiasi cosa faccia un attore sarà una riproduzione teatrale, non sarà Teatro, non sarà un rito e non accetto che si pensi di investire su piattaforme teatrali virtuali senza considerare il valore dell’incontro.
Vorrei si considerasse che dobbiamo usare il nostro ingegno per capire come sostenere e aiutare il nostro pubblico, affinché possa ritornare nei nostri teatri, perché si senta sicuro di stare lì con noi e perché abbia il desiderio di uscire di casa e prendersi il tempo di venire a Teatro da noi: noi saremo lì, li aspettiamo tutti a braccia aperte!
ARTICOLO DI TINDARO GRANATA